PORTRAIT#5: Simon Balestrazzi [T.A.C. / Dream Weapon Ritual / Azoth]

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Disegno di Cristina Ruggieri

La serie PORTRAIT, che raggiunge oggi il suo quinto episodio, è stata sviluppata a partire dall’idea che determinate forme di interessamento ed investigazione del passato possano essere utili ai fini della comprensione ed approfondimento di tematiche del Presente. In vista di ciò, ci viene difficile immaginare una scelta più appropriata per il concept rispetto a quella di Simon Balestrazzi [post-musicista, sound designer e sound engineer classe 1962 da Parma; in Tomografia Assiale Computerizzata, Dream Weapon Ritual, Kirlian Camera, Candor Chasma, Hidden Reverse, Kino Glaz, New Processean Order, …], uno dei più esperti, instancabili, multisfaccettati e ferventi sperimentatori sonori Italiani, dalla fine degli anni ’70 ad oggi. L’intervista che presentiamo in questo articolo rappresenta il nostro umile tentativo di avvicinamento all’attività musicale di un artigiano e cultore del suono il cui percorso si sovrappone e lega indissolubilmente all’esistenza stessa del protagonista [“Mi è sempre interessata principalmente l’ elaborazione del suono e per quel motivo ho abbandonato la mia poco soddisfacente carriera da architetto e mi sono diplomato allo Institute of Audio Research di New York.”].

“La ripetizione degli schemi è automutilazione” [via]

Le difficoltà maggiori nell’elaborare una retrospettiva fatta di domande che risultino interessanti e non scontate sono sorte principalmente in relazione alla sterminata mole della discografia di Simon Balestrazzi, divisa tra decine di progetti sopravvissuti agli anni, infinite collaborazioni ed entità defunte-ma-non-defunte, lavoro solista particolarmente florido dal 2009 a questa parte, ed incursioni praticamente in ogni “genere” di musica di avanguardia e sperimentazione degli ultimi 35 anni: dall’art-rock / noise-rock chitarristico-elettronico alla musica post-industriale, dark-chamber e animata da pratiche ritualistiche, fino all’improvvisazione libera – drone e ricerca elettroacustica incentrata sull’utilizzo di strumenti non convenzionali, oggetti handmade e sorgenti sonore tra le più disparate. Il tutto ben supportato da una sorta di sentimento di riverenza [“ma sei QUEL Simon Balestrazzi?” cit. Andrea ‘Onga’ Ongarato, ai tempi di The Sky Is Full Of Kites] nei confronti di uno dei sound artists più (piacevolmente) incatalogabili ed interessanti con cui ci sia mai capitato di confrontarci. Per questa serie di ragioni è stato impossibile – almeno per i nostri sforzi – arrivare a toccare ogni aspetto e realtà di cui Balestrazzi ha fatto parte negli anni. La nostra scelta è stata perciò quella di concentrarci sul tentativo di delineamento di un profilo il meno abbozzato possibile, e che portasse all’individuazione e messa a fuoco di alcune peculiarità dell’attività musicale e del pensiero di Simon. L’intervista che segue, quindi, potrà potenzialmente risultare di difficile contestualizzazione per il lettore che si lancia per la prima volta nell’approfondimento; per ovviare a questo fatto, ad ogni modo, abbiamo deciso di includere in chiusura di articolo un breve elenco di releases che, a nostro parere, possono considerarsi tra le più emblematiche tra le decine e decine di lavori pubblicati.

Per quanto riguarda invece la copertura totale della carriera di Simon, abbiamo lasciato che fosse lui stesso a fornirci il proprio auto-ritratto. In forma di suono ovviamente: trattasi, appunto, del nostro PORTRAIT MIX #5, ascoltabile qui sotto direttamente dal nostro canale Mixcloud. Raccomandiamo più che mai l’ascolto di questa playlist mixata che sfiora l’ora di durata, e che raccoglie in una selezione perfetta e devastante alcune tra le esperienze più significative di Simon Balestrazzi. Accompagnate dal suono di “certe frequenze [che] su vinile addirittura farebbero volar via la puntina…“.

[La tracklist si trova in chiusura di articolo. Buon ascolto e buona lettura!]


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[Photo courtesy of Simon Balestrazzi]

D: Ciao Simon, grazie per la tua disponibilità ad aver partecipato alla nostra serie. Sulla falsa riga dei quattro portrait precedenti, vogliamo immediatamente chiederti di commentare in breve il mix che hai realizzato per noi.

R: Ciao, grazie a voi per l’invito. Avrei voluto trasgredire le consegne e preparare una playlist di lavori non miei ma Deison mi ha recentemente preceduto con una scaletta che ricalca per tre quarti quelle che sarebbero state le mie scelte… quindi eccomi qui con una playlist di materiale esclusivamente mio. Mi sono limitato ad estratti da materiali realizzati negli ultimi 4/5 anni con giusto un paio di eccezioni: due brani dell’ultima incarnazione di T.A.C. (Tomografia Assiale Computerizzata) risalenti al 2002 e al 2004 e ad un rough mix curioso… un brano di Masse, un mio duo con un giovanissimo musicista belga, da un album rimasto inedito registrato tra NY, Parma a Bruxelles alla fine degli anni ’90 e che per un pelo non ci garantì un buon contratto con una blasonata label americana.

D: Per stare al passo con la tua attività è necessario – lasciacelo dire – uno sforzo pressochè sovrumano. Sappiamo che hai partecipato ad una traccia di Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà i Suoi! dei Fuzz Orchestra con il tuo bowed metal plate, hai sonorizzato in un video un lavoro di Daniele Serra, partecipato alla colonna sonora di Tupelo D di Massimo Indellicati, la seconda release di Azoth (Ghost Systems) è già disponibile da diverse settimane, un tuo inedito è comparso su Italian experimental underground 016 survey di Unexplained Sounds Group… Che altro? Ti va di farci un conguaglio in breve?

R: È vero, in questi ultimi tempi sono parecchio, come dire, infestante…? Il fatto è che sono abituato a lavorare molto e con metodo. Molto spesso ho in cantiere anche una decina di lavori e concept diversi, poi magari qualcuno si perde per strada, altri vengono recuperati e terminati a distanza di anni, insomma ho anche un archivio ricco ed articolato da cui attingo, riciclo, rimodello. È il vantaggio di avere un approccio da costante work in progress nonché di starsene lontano da generi e trend vari: difficilmente i miei lavori sono legati ad un suono molto codificato o che invecchia velocemente.

Comunque al momento è già in stampa per AZOTH il nuovo lavoro di Candor Chasma, il mio duo con Corrado Altieri a.k.a. Uncodified: si tratta di un album ispirato al romanzo “Il Dipinto Ucciso” di Paolo Di Orazio, che ci ha anche concesso l’utilizzo di alcune sue tavole per la copertina. A fine estate sarà la volta del primo full length di A Sphere Of Simple Green, il mio trio improv con la pianista Silvia Corda e il contrabbassista Adriano Orrù. Poi c’è “Utriusque Cosmi”, un mio lavoro in cantiere da quasi due anni e finalmente in via di completamento. In questo periodo sto registrando materiale sia per Dream Weapon Ritual (con Monica Serra stiamo per festeggiare i 10 anni di attività, senza contare il lungo periodo in cui Monica ha fatto parte di T.A.C.) che per Hidden Reverse, ancora un duo, questa volta con Massimo Olla a.k.a. Noisedelik, nonché l’inventore dei [d]Ronin, i quali sono degli strumenti artigianali che sono entrati in pianta stabile nel mio setup da un paio di anni. Tra i recuperi, sempre su AZOTH, ho deciso di sottrarre all’oblio “From Imitation To Empathy”, un album praticamente finito da qualche tempo del progetto one-off Resonance Behaviour, ideato a quattro mani con Andrea Ics Ferraris e che vede la partecipazione di un parterre veramente ampio e vario: Mauro Sciaccaluga, Jared Russell, Nino Locatelli, Dalila Kayros, Daniele Santagiuliana e Andrea Serrapiglio. Ed infine c’è stato questo ritrovamento fantastico: dalla soffitta di casa è riemersa una scatola contenente una manciata di vecchie cassette e bobine con i miei primissimi esperimenti che datano addirittura dal 1978! Sono tutti nastri che rischiano di sgretolarsi e sto ancora aspettando che molti vengano trattati prima di essere riversati e quindi non ho idea di cosa contengano veramente. Ma da un paio di tapes, miracolosamente in ottime condizioni, ho già selezionato una decina di brani che datano principalmente 1979-80 e da cui io per primo sono rimasto sorpreso.

D: La tua sempreverde carriera musicale ti ha portato ad attraversare un numero non precisato di ‘ere’, tendenze, strumentazioni più utilizzate di altre, mezzi di comunicazione, e via dicendo. Come riesci a stare al passo oggi? O, più in generale, come ti confronti con il presente? Hai un legame forte con esso o ne sei distaccato? Che effetto ti fa pubblicare una traccia su soundcloud rispetto al rilasciare una tape, che sensazioni differenti ti fanno provare i due diversi network (tendenze nostalgiche di ‘una volta si stava meglio’ a parte)?

R: Arranco… Scherzi a parte, la tecnologia e l’innovazione sono sempre state fra i miei interessi pur non essendo un feticista delle novità a tutti costi, anzi… Non potrei fare musica se non fossi ben conscio e ispirato-influenzato da tutto ciò che mi circonda. Però non sono un grande amante della musica liquida. Al di là di tutta la possibile e infinita discussione sui presunti processi di democratizzazione promossi dalla rete io mi pongo sempre un problema prima di tutto economico/politico e pratico: ma siamo sicuri di voler consegnare la nostra musica, immagini, programmi, archivi ad una rete di multinazionali? Cosa succederebbe nel momento in cui per una qualsiasi situazione di crisi un (il?) gestore decidesse di chiudere il rubinetto? Il discorso sarebbe lungo e articolato… Inoltre considero la musica registrata un’arte diversa dalla musica eseguita e alla fine preferisco un supporto fisico. Lo vedo più come un multiplo che come un documento di un evento sonoro. In particolare preferisco il CD, al momento il supporto qualitativamente più avanzato disponibile. Per come la vedo io dovremmo aver già raggiunto degli standard più elevati, almeno 24/196, ma comunque è l’unico supporto su cui posso pubblicare la maggior parte dei miei lavori: certe frequenze su tape scompaiono ma su vinile addirittura farebbero volar via la puntina…

D: Ciò in cui ci si imbatte in maniera netta ascoltando le tue sperimentazioni soliste è un forte distaccamento da ogni forma e costrizione in favore dell’espressione libera di idee, pulsioni ed intuizioni. Come mantieni saldo il tuo legame con la realtà ‘materiale’? E’ presente, a tuo parere, una componente di evasione, o al contrario ritieni che la Musica da te suonata / prodotta sia strettamente ed esclusivamente ancorata a terra?

R: Ogni lavoro è diverso e richiede una strategia adeguata, però nel termine “evasione” proprio non riesco a riconoscermi in alcun modo. Ci possono essere lavori in cui mi sono confrontato con argomenti (extramusicali) o forme (musicali) tendenti al trascendente ma niente di “escapista” direi…  in particolare  i miei ultimi tre lavori in solo affrontano tematiche o metodi compositivi molto definiti: guerra asimmetrica, stati alterati, memoria ed alea. E all’altro estremo dello spettro i lavori più legati all’improvvisazione, sia quella radicale di ASoSG che quella quasi instant composition di DWR non hanno molte caratteristiche che le farebbero definire di evasione. Temo di essere più sul versante “Hör mit Schmerzen”… Se invece intendevate riferirvi al fatto che i miei lavori recenti sono molto slegati da costruzioni formali facilmente identificabili, questo è sicuramente vero. È il campo in cui sto ricercando in questo momento ma, chissà, magari da un momento all’altro potrei rimettermi a scrivere canzoni o brani comunque con una struttura canonica…

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[Photo courtesy of Simon Balestrazzi: T.A.C. live @ Cittadella di S.Felice Sul Panaro, Modena, Luglio 1985; in line-up anche Thelema e R.A.F. Punk]

D: Entrando in tema T.A.C., e concentrandoci in particolare su di te, appunto: hai avuto esperienze musicali di sorta prima dei Tomografia Assiale Computerizzata a Parma? Che ambienti frequentavi da adolescente per svago / intrattenimento? Cosa ti ha spinto ad abbandonare ogni formazione accademica alla giovane età di 15 anni? C’è una qualsiasi componente di quell’educazione che hai rifiutato di ottenere che secondo te avrebbe potuto esserti utile – e che in qualche modo rimpiangi – per la tua attività odierna? La negazione, nel tuo caso particolare, è riuscita a darti tutti gli strumenti (nel senso più lato possibile) che cercavi?

R: Prima di T.A.C. ho avuto giusto un paio di brevi esperienze. Una band al liceo che aveva la pretesa di suonare a metà strada tra Velvet Underground e Amon Düül (!) con risultati imbarazzanti e Dresden T, un progetto di un mio carissimo amico, più grande di me e di fatto colui che mi ha iniziato alle forme più interessanti di rock, anche quello durato il tempo di una estate ma in cui si faceva uso di synth e strumenti trovati. Ai tempi si registrò anche qualcosa, chissà che non ci sia qualche registrazione nella scatola magica… in entrambi i casi si parla di 77-79. Allora avevo già abbandonato (anzi, smontato e preparato) la chitarra classica per mettermi a sperimentare con registratori Geloso, giradischi, oggetti sonori, etc. Quello che mi ha fatto abbandonare ogni idea di formazione accademica in realtà fu un concerto “accademico” di Giancarlo Cardini inserito nel programma della stagione concertistica del Regio di Parma. Dopo stagioni di Chopin senza soluzione di continuità quel concerto con in programma Satie, Liszt (gli ultimi brani da lui scritti), la “Sonatina Seconda” di Busoni e poi, soprattutto, Stockhausen, Bussotti e Cage mi scoperchiò il cervello… vedere preparare il pianoforte per gli “Amores” di Cage fu un esperienza irripetibile. Poi da li a poco “Histoire Du Soldat”  e “Pierrot Lunaire” e durante l’estate l’iniziazione al rock più avant con Area, Amon Düül, Matching Mole.

Poco dopo mi presentai dal mio maestro con qualche spartito di contemporanea recuperato chissà come e dopo una breve ma accesa discussione me ne andai. Certe cose probabilmente uno le ha nel DNA: a casa mia non si ascoltava musica, non c’erano praticamente dischi a parte i Beatles che uno zio mi regalava da quando avevo otto anni, ma già a quell’età a me non piacevano le “canzoncine” tipo Yellow Submarine ma piuttosto i synth e i reverse di It’s All Too Much o i montaggi di Revolution 9… Col senno di poi se errore ci fu è stato proprio all’inizio, quando mi presentai per l’ammissione al conservatorio. Passai, ma non c’erano posti disponibili per chitarra, mi proposero violino e io rifiutai. Ecco quello lo rimpiango… molto più interessanti gli archi delle chitarre. Però chissà poi che conseguenze avrebbe comportato quella scelta… magari avrei abbandonato per noia ogni interesse musicale…? Solo ogni tanto un’educazione formale mi manca, soprattutto per quello che riguarda l’armonia (qualche volta tornerebbe anche utile… accelererebbe sicuramente il processo di arrangiamento tradizionale dei saltuari lavori su commissione) ma credo che ognuno debba avere una preparazione tecnica adeguata alle proprie esigenze espressive. Mi è sempre interessata principalmente l’ elaborazione del suono e per quel motivo ho abbandonato la mia poco soddisfacente carriera da architetto e mi sono diplomato allo Institute of Audio Research di New York.

D: Ripercorrendo molto velocemente l’esperienza seminale con i T.A.C., riusciresti a stimare quanti musicisti, complessivamente, vi hanno preso parte o vi hanno collaborato? C’è una partecipazione particolare (esterna o interna) che tra le altre senti ti abbia segnato maggiormente?

R: È un calcolo che non ho mai fatto… pensandoci direi più o meno una ventina ed altrettanti collaboratori. Chiunque sia passato dai T.A.C. ha lasciato qualcosa. Dopo i primi anni, esaurita l’esperienza con la prima e seconda formazione e quindi dopo che io e Andrea Azzali separammo i nostri percorsi artistici, il mio metodo è spesso stato in qualche modo vicino a quello di un regista cinematografico, a là Kubrick, per capirci. Nel senso che ero interessato a lasciare ogni musicista, membro o collaboratore di T.A.C., il più possibile libero di improvvisare e proporre variazioni, dedicandomi soprattutto a dirigere, selezionare, trattare il suono, tutto all’interno di una struttura preordinata, solida ma quasi invisibile. Mi sono trovato ovviamente anche nella situazione opposta con lavori in cui ho suonato e composto principalmente da solo come in Apotropaismo e Chaosphere ma il potermi rapportare con altri musicisti, magari con esperienze opposte alle mie, è sempre stato lo stimolo maggiore.

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[OCCHI DI SILENZIO / DOVE LA LUCE MUORE]

D: Un disco che ci ha sempre incuriosito molto, e che riteniamo essere tra i vertici espressi dal gruppo, è Pioggia Su Carne di Cavallo, uscito in CD Limited Version di 536 copie come prima release di NeuroHabitat. Qual è l’aspetto differente alle precedenti pubblicazioni su Azteco rispetto all’apertura su NeuroHabitat? Che formazione presenta il disco? Da dove deriva in particolare il titolo utilizzato? Che significato ha ‘536’, il numero di copie prodotte?

R: È anche tra i miei preferiti. Anche Azteco Records era la mia, o meglio nostra, etichetta, la fondammo per il nostro primo vinile. “Pioggia” fu creato da me ed Enrico Marani ma fu finito in studio quando lui aveva ormai deciso di lasciare la band. Partecipò, ma ancora in veste di ospite, Emila Lo Jacono dei Kirlian Camera, band con cui avevo appena iniziato a collaborare. Il titolo viene da un mio sogno fatto dopo aver letto una biografia di Philip K. Dick in cui raccontava che l’estrema povertà lo costrinse a nutrirsi di carne di cavallo, che per gli anglosassoni è fondamentalmente cibo per gatti. 536 invece viene da Crowley, è il numero corrispondente al suo scritto Batrachophrenoboocosmomachia ed  è associato alla creatività, un buon numero…

D: Riallacciandosi al tema del NeuroHabitat ed alla tua simbosi con esso: vivi ancora a Cagliari? Che ridimensionamenti / espansioni ha subito l’habitat nel corso del tempo? Ti va di menzionarci qualche tua ultima creatura in termini di strumenti costruiti? Investigando ulteriormente, per quale motivo hai deciso di aprire la tua personale piattaforma Azoth? Intendi in tal senso seguire percorsi ed interessi diversi rispetto al NeuroHabitat?

R: NeuroHabitat è il nome di qualsiasi mio studio dalla fine degli anni 80. La cosa buffa è che inizialmente non avevo minimamente pensato al lavoro di M.B. che pure conoscevo benissimo: doveva essere semplicemente Habitat ma ai tempi esisteva una catena di negozi abbastanza famosa con quel nome… Al momento NeuroHabitat sta per finire il suo lunghissimo periodo di spostamenti e sedi temporanee. Sto lavorando alla realizzazione di una piccola facility in un capannone alle porte di Cagliari, un bellissimo luogo in cima ad una collinetta con vista sulla città e sul mare. Per gli strumenti invece non mi sto costruendo quasi più nulla… mi sto affidando tantissimo ai [d]Ronin di Massimo Olla, degli strumenti molto versatili. Continuo invece ad utilizzare qualsiasi oggetto mi capiti tra le mani con microfoni a contatto o tecniche di ripresa poco ortodosse. AZOTH è nata per pubblicare alcuni dei miei lavori senza “liste d’attesa” e soprattutto senza limiti sul tipo di supporto: ormai quasi tutte le label italiane sono “costrette” ad uscire su LP. Io continuerò a proporre le mie cose alle label con cui ho già lavorato e che stimo tantissimo e a chiunque ritenga interessante o sia interessato alla mia musica, ma solo quei lavori che possano mantenere su vinile l’integrità del mio suono…

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[Photo courtesy of Luca Ciabatti; Trio [d]Ronin Simon Balestrazzi, Massimo Olla and Gianluca Becuzzi in live Perfugas, Sardinia, Italy; live excerpt]

D: Vogliamo proseguire ancora per qualche veloce domanda nello scorrere la tua carriera, per poi concentrarci sulla tua produzione solista nella seconda parte dell’intervista. Ora, in particolare, siamo interessati a ‘Al Passo Con L’Arcangelo’ dei Kino Glaz [1988, ADN, Gregorio Bardini, Paola Sartori, Patrizia Mattioli, Simon Balestrazzi], a nostro avviso una delle pietre miliari della musica sperimentale Italiana degli anni ’80. In che contesto si inseriva all’epoca il vostro disco? Il termine ‘neofolk’ gli veniva già accostato o si tratta di un etichettamento avvenuto successivamente, in retrospettiva? Quali furono le vostre maggiori fonti di ispirazione? Che tipo di simbologia / ritualità avete proposto in esso?

R: Grazie del complimento. In realtà non si inseriva in nessun contesto… non c’erano molte esperienze simili, o forse al limite queste andavano cercate più in progetti tipo Univers Zero et similia. Il termine neofolk era lontanissimo da essere adottato. Credo avessimo utilizzato qualcosa come “dark chamber music” ai tempi e probabilmente anche oggi farei fatica a definire quel lavoro neofolk. Tutto il progetto Kino Glaz nasceva dall’ambiguità e dalla contrapposizione tra la razionalità/oggettività del CineOcchio di Vertoviana memoria e l’irrazionalità del mondo esoterico a cui ci riallacciavamo con le tematiche affrontate ed era proprio questo clash che ai tempi fu per me la maggior fonte di ispirazione. Poi magari a distanza di anni e dopo aver approfondito certi dettagli non l’avrei intitolato “Al Passo Con L’Arcangelo” (una citazione da Codreanu), titolo irresistibile ma abbastanza “impresentabile“… ma allora non c’era internet, le informazioni viaggiavano lente e sotterranee e soprattutto era ancora possibile essere provocatori. Oggi non me la sentirei di far andar a braccetto Vertov con la Guardia di Ferro senza fornire una chiave di lettura. Problema che molti, proprio in area neofolk, ancora non si pongono. Ma quello è un mondo con cui non ho nulla a che fare.

D: Un’esperienza significativa legata alla tua carriera recente è legata alla label Boring Machines, che celebra i suoi dieci anni di attività con diversi episodi di #Ongapalooza. Parteciperai ad uno di questi? Come sei entrato in contatto con Andrea Ongarato, il boss della label, e cosa di ha colpito maggiormente dell’etichetta da affidarle diversi tuoi lavori (The Sky is Full of Kytes, Ebb & Flow, Reverbalizations)? Collateralmente, quali label Italiane emergenti apprezzi particolarmente, anche estranee dal contesto di sperimentazione post-industriale (o come dir si voglia)?

R: Si, dovrei partecipare ad uno degli ultimi eventi dell’ #ONGAPALOOZA; condizionale d’obbligo perché vivere in Sardegna non aiuta gli spostamenti rapidi. Boring Machines era ed è una delle mie label preferite. Adoro tutto quello che ha pubblicato fino ad ora. La nostra liason è iniziata nel modo più semplice possibile: contattai il mitico Onga dicendo “sei la mia label preferita, vorrei uscire anch’io su BM! posso inviare un premix?” la risposta fu qualcosa del tipo “ma sei QUEL Simon Balestrazzi?” e da li a poco era cosa fatta…

Molto sinceramente penso che in Italia, al momento, ci siano un infinità di musicisti e label veramente validi sul piano internazionale e che meriterebbero molto di più ma storicamente siamo alla periferia dell’impero (o di quello che ne è rimasto) ed inoltre, generalizzando, abbiamo la tendenza a lavorare più sull’atmosfera che sulla scrittura. Cosa che personalmente preferisco, anche se in parte ci preclude l’attenzione di altri mercati… Label ce ne sono tantissime appunto. Tralasciando le etichette che hanno pubblicato miei lavori, tra le più recenti mi hanno colpito Haunter Records,  Manyfeetunder, Nephogram, Black Moss, Yerevan Tapes… mi fermo ma l’elenco potrebbe essere ben più lungo.

[NEUROHABITAT / MAGICKWITHTEARS]

D: Di particolare interesse a nostro parere è anche la tua presenza nell’ensemble MOEX. Nel 2011 il gruppo ha concretizzato in formato di mini album il disco Untitled Soundscapes a nome A Sphere of Simple Green, uscito su Ticonzero all’interno della serie di 4 dischi dal nome di derivazione-storpiatura Crowleyiana, Magick With Tears, e nella quale compari in 4 occasioni su 4 (artista solista, di gruppo e mastering di Uncodified). Qual è il tuo legame con MOEX e con Ticonzero oggi? Che ‘amplified objects‘ hai utilizzato per la registrazione? Per le tre releases nella serie hai optato per un filo conduttore (in termini di ispirazione / improvvisazione) riconducibile al vincolo tematico di Magick With Tears oppure no?

R: Purtroppo MOEX ormai è fermo da anni. È stato li che è nato e si è sviluppato il mio interesse per l’improv radicale. MOEX era diretto da Alessandro Olla che è anche presidente e motore di TiConZero. È all’interno di quella esperienza e delle attività promosse dall’associazione che ho potuto suonare con Tim Hodgkinson, che mi ha aperto un mondo, e che ha poi portato alle registrazioni con personaggi quali Max Eastley, Ikue Mori, Maja Ratkje, Sylvie Courvoisier. Ultimamente l’ attività dell’associazione si è un po’ ridotta e io non ne faccio più parte ma il nostro rapporto di collaborazione è probabilmente solo temporaneamente interrotto e TiConZero continua a portare avanti il Signal Festival e, saltuariamente, a pubblicare CD. MwT era giusto un nome che mi piaceva e che, vista l’oggettiva difficoltà di pubblicare dischi, risultava piuttosto didascalicamente indovinato…. Nessun filo conduttore o ascendenza Crowleyana esplicita però. La serie avrebbe dovuto proseguire ma purtroppo la confezione era troppo impegnativa economicamente. In quel periodo utilizzavo principalmente un salterio giocattolo pesantemente modificato e gli altri oggetti sonori potevano essere qualsiasi cosa: tavolette di legno, scatole di plastica, motorini elettrici, carta, metallo, vetro… credo di aver saldato decine e decine di piezo. Invece A Sphere Of Simple Green è un progetto slegato da MOEX anche se musicalmente Silvia, Adriano ed io ci siamo conosciuti lì. Infatti, anche se è un trio dall’esistenza discontinua, quasi randomica, siamo ancora operativi.

D: Parliamo ora di Ultrasonic Bathing Apparatus, disco articolato in sette movimenti ed uscito a fine 2015 su Sincope, imperiato su tematiche di privazione sensoriale e ricerca acustica. L’artwork, in particolare, è stata invece realizzata da Massimo Onza, boss della label. Cogliamo l’occasione per chiederti: ti sei mai lanciato nell’ambito della sperimentazione artistica visiva / visuale oltre che musicale? Quante delle artwork per i tuoi lavori personali o altri a cui hai partecipato hai realizzato?

R: Ho realizzato l’artwork della stragrande maggioranza dei lavori in cui sono stato coinvolto. Visto che la mia formazione di architetto (quando ancora non esistevano i plotter) ed aver lavorato qualche secolo fa come grafico mi consente di essere abbastanza autonomo in questo campo. Ma a parte qualche piccola esperienza non mi sono mai impegnato molto nel campo delle arti visive. Mi piacerebbe potermi dedicare a video ed installazioni ma poi non trovo mai il tempo per studiare tutto quello che mi servirebbe per realizzare compiutamente le mie idee.

https://sincoperec.bandcamp.com/album/simon-balestrazzi-ultrasonic-bathing-apparatus-cd

D: Ti è mai stata commissionata una soundtrack completa per un lungometraggio, al di là della sonorizzazione live come performance artistica, dell’alternative scoring come hai fatto per La Montaña Sagrada [Santos Production, 2012, CD] o ancora la composizione di temi per compagnie teatrali – performative? E’ un aspetto di ricerca a cui sei o sei stato interessato? C’è un film in particolare che sogni di musicare?

R: Purtroppo no. È un campo che mi attira molto ma in cui è anche necessario darsi parecchio da fare con le pubbliche relazioni ed essere disposti a fare molti compromessi; per entrambe le cose non sono molto portato. Per il teatro e soprattutto per la danza ho lavorato abbastanza intensamente diversi anni fa, in particolare appena trasferito qui a Cagliari, ma ormai i budget a disposizione delle compagnie si sono ridotti e quasi nessuno sa più cosa voglia dire il termine sound design… Il sogno nel cassetto sarebbe quello di realizzare le musiche per un film di/a là Lynch, praticamente impossibile!

D: Consultando il tuo sito personale NeuroHabitat.it, sezione biografica, abbiamo trovato un passaggio che ci ha incuriosito particolarmente: ‘His music has been used for dance, theatre, movies, advertising, exhibitions and by RAI for television and radio programs.’ Per quali advertisement sono state utilizzate delle tue tracce?

R: Se non ricordo male erano degli spot istituzionali per gli stand della Re-Play, circa a metà anni 90. Di sicuro non spot pubblicitari per il grande pubblico dove veniva utilizzata techno molto più commerciale.

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[Photo courtesy of Simon Balestrazzi, recording Pest Exterminator]

D: C’è una componente di te stesso che non hai ancora avuto il corraggio di suonare / comporre, o che non sei riuscito ad esprimere attraverso gli strumenti a te noti? Può essere che, in tal senso, ci sia un legame con la tua propulsione incessante a sperimentare?

R: Come accennavo prima mi piacerebbe poter realizzare alcuni progetti installativi multi/cross mediali. Ma da un lato dovrei trovare il tempo e i fondi necessari, dall’altro le richieste e le tendenze contemporanee viaggiano su binari abbastanza distanti dai miei interessi. Un po’ come con l’attuale ampliarsi del trend del field recording… è decenni che anch’io raccolgo materiale ma poi mi tengo a distanza perché non sono così interessato al dibattito culturale in cui chi opera in quel campo si è incanalato negli ultimi tempi…

D: Per concludere con la domanda più ampia – e volendo inappropriata – possibile da fare ad un instancabile sperimentatore quale sei: perchè fai musica? Cosa ti alimenta a proseguire oggi? Ti sei mai soffermato a riflettere su cosa ti resta dopo oltre 35 anni di attività? Cosa / come ti consideri? Ti sei mai posto il problema di definirti, in effetti?

R: Hey! non si parla di corde a casa dell’impiccato!  Queste sono le domanda che ormai mi faccio quotidianamente. E non ho ancora trovato una risposta adeguata…


 DISCOGRAFIA CONSIGLIATA


  • TAC – Il Teatro Della Crudeltà [1987, Azteco]
  • Kino Glaz – Al Passo Con L’Arcangelo [1988, Auf Dem Nil]
  • TAC – Apotropaismo [1997, Old Europa Cafè]
  • Simon Balestrazzi – Pest Exterminator [2011, TiConZero]
  • Dream Weapon Ritual – Another View [2011, TiConZero]
  • Candor Chasma – The Key [2014, Old Europa Cafè]
  • Z’EV & Simon Balestrazzi ‎– Reverbalizations [2014, Boring Machines]
  • Hidden Reverse – Articulation 1&2 [2015, Old Europa Cafè]
  • New Processean Order – CrucifEgo [2015, End of Kali Yuga]

La nostra selezione non ha nessuna pretesa di completezza; al contrario, è stata unicamente pensata come (una) possibile introduzione alla carriera musicale pluridecennale di Balestrazzi. Per uno sguardo ancora più approfondito ed aggiornato rimandiamo agli account Facebook, Soundcloud e sito personale di Simon, oltre che alla pagina discogs. Infine, consigliamo caldamente la puntata 22 dal broadcast radio di Sodapopwebzine risalente al 2015, in cui è possibile ascoltare un’altra intervista altrettanto interessante.

Suggerimenti sparsi:


TRACKLIST


  1. T.A.C. – Desertification 3 [Waiting For The Twilight, CD, Small Voices 2002]
  2. Dream Weapon Ritual – Ebb And Flow #2 [Ebb And Flow, LP, Boring Machines 2014]
  3. Simon Balestrazzi – Dann [Tape Crash #10, split tape, Old Bicycle/Under My Bed 2014]
  4. A Sphere Of Simple Green – Untitled Soundscape n.1 [Untitled Soundscapes, mCD, Magick With Tears 2011]
  5. Ikue Mori, Balestrazzi, Sylvie Courvoisier, Alessandro Olla & Maja S.K. Ratkje – So Sorry [Treasure Hunt, CD, TiConZero 2012]
  6. Z’EV & Simon Balestrazzi – Reverbalizations III [Reverbalizations, CD, Boring Machines 2014]
  7. Simon Balestrazzi/Max Eastley, Alessandro Olla & Z’EV – Floating Signal _3 [Floating Signal, CD, TiConZero 2009]
  8. Candor Chasma – Chemical Analysis Of Ectoplasm [Rings, CD, Old Europa Cafe 2012]
  9. Simon Balestrazzi – Improvised Explosive Devices [Asymmetric Warfare, CD, AZOTH 2015]
  10. Simon Balestrazzi – Ghost Systems pt.2 [Ghost Systems, CD, AZOTH 2016]
  11. Simon Balestrazzi – Persistence Of Memory [The Sky Is Full Of Kites, CD, Boring Machines 2012]
  12. Simon Balestrazzi – In My Own Transfigured Time [Ultrasonic Bathing Apparatus, CD, sincope 2015]
  13. Masse*** – Scope [Bleach, unreleased, recorded 1998/99]
  14. T.A.C. – Rain Some Nights [Splintered, CD, Small Voices 2004]

 *** “Masse è un duo che ha avuto brevissima vita, nato a NYC e formato da me ed un mio giovanissimo collega allo IAR, nonché DJ. Abbiamo approntato un album che ai tempi per poco non fu preso dalla Thrill Jockey, fossimo arrivati una manciata di mesi prima sarebbe stata cosa fatta! Era già la fine del ’98, quasi appena oltre tempo limite per risultare datati con quel suono… Insomma, tanti complimenti ma nessun contratto. Abbiamo comunque finito il lavoro, fatto un mix quasi definitivo e ci siamo esibiti un unica volta in Belgio, in un grosso festival all’aperto in occasione dell’eclissi del 1999. Ed è finita lì…”

 


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