FORMA FREE MUSIC IMPULSE #8: report delle due serate conclusive


“Il progetto Hybrida nasce nel 2003 presso il Centro Europeo di Arti e Comunicazioni Contemporanee “L. Ceschia” di Tarcento (Udine) con l’intento di sviluppare in Friuli Venezia Giulia una realtà che impostasse la propria attività intorno allo studio ed alla promozione della musica contemporanea e delle moderne forme di espressione artistica. Negli anni ha intessuto rapporti con le più fertili realtà nazionali ed internazionali, favorendo la crescita culturale del territorio attraverso concerti, laboratori, conferenze e festival, e divenendo una delle realtà italiane di riferimento per gli artisti in tour. L’associazione, approfittando della posizione geografica strategica della regione e cogliendo al volo i fermenti della musica di questi anni, ha organizzato concerti per oltre 600 artisti. Hybrida, in collaborazione con altre associazioni locali, dà spazio a workshops e spettacoli teatrali e organizza inoltre cicli di proiezioni video dedicati a vari generi musicali e artisti contemporanei. Organizza con continuità i festival Free Music Impulse (7 edizioni) e Tarcento Jazz (5 edizioni). Dal 2007 l’associazione ha iniziato anche a produrre con regolarità performances elaborate in tempo reale tramite proiettori di diapositive, computer, videoproiettori, strumenti autocostruiti e musica nel solco dei lightshows degli anni ’60. Hybrida è anche titolare dell’omonima etichetta discografica indipendente e dal 2009 è impegnata a diffondere, con sensibilità contemporanea, la cultura musicale con la trasmissione musicale Hybrida Radio Show, in onda sulle frequenze di Radio Onde Furlane.” [via]


Con la rassegna Free Music Impulse, l’associazione culturale (nonché etichetta musicale) Hybrida scuote le serate friulane da più di dieci anni, proponendo ascolti che spaziano dall’elettroacustica al rock meno conformato. Abbiamo partecipato alle due serate conclusive dell’ottava edizione, che quest’anno si è tenuta tra il Friuli Venezia Giulia, l’Austria e la Slovenia, offrendo non solo concerti, ma anche workshop, incontri e proiezioni. Tra fine settembre e fine ottobre, sono stati ospitati artisti come Donato Epiro, Giovanni Lami, Robedoor e Deison. Per i due incontri conclusivi, spiccano invece i nomi di Ryoji Ikeda ed Emptyset.

La cornice della serata del 3 Novembre è il Teatro Palamostre, nell’insolita veste di contenitore di suoni sintetici. Per fortuna, ogni lecito dubbio sull’acustica viene spazzato via dall’attacco dei Mikomikona. I volumi sono molto buoni, la spazializzazione pure; peccato che il set del duo berlinese difficilmente superi lo status di esercizio tecnico. I due propongono una performance audiovisiva che ruota attorno al rapporto tra suono e immagine, alternando diverse combinazioni di fogli su una coppia di lavagne luminose. Sono proprio queste ultime gli unici strumenti dei Mikomikona. Ogni foglio finisce a corrispondere a un segnale audio differente, che contemporaneamente viene proiettato in forma di immagine alle spalle del duo. Gli ultimi minuti del set riescono ad offrire una stratificazione di suoni e luci più dinamica ed interessante, che lascia sperare ad un maggiore sviluppo a venire della tecnica dei Mikomikona.

A seguire, il set di Kassel Jaeger / Francois Bonnet. Il giovane compositore, scrittore ed ingegnere del suono francese è il direttore artistico di un’autentica istituzione nel campo dell’elettroacustica, il Groupe De Recherches Musicales (GRM), fondato da Pierre Schaeffer nel 1958. Insomma, ci si aspetta molto, considerando anche le diverse uscite per l’Editions Mego e le collaborazioni con musicisti del calibro di Jim O’Rourke e Oren Ambarchi. Sullo sfondo, una larga ripresa di una distesa d’acqua verdastra e densa anticipa l’ambient di Jaeger. I suoni sono lenti e rarefatti, una sorta di colonna sonora con incursioni elettroacustiche e field recordings. Purtroppo lo scenario che andava plasmandosi si interrompe soltanto dopo una ventina di minuti, permanendo – per poco – nella memoria più come sfondo sbiadito che come opera conchiusa.

C’è grande attesa per una proposta radicalmente differente dalle precedenti, scelta per chiudere la serata. Il giapponese Ryoji Ikeda si presenta al centro del palco, dal quale sparisce ben presto come essere umano, per diventare il medium attraverso cui le frequenze sonore possono assumere vita propria. Do Androids Dream of Electric Sheep?, era la domanda che intitolava il romanzo fantascientifico di Philip K. Dick da cui venne, in un momento successivo, tratto Blade Runner. Sentendo le complesse stimolazioni elettriche di Ikeda, verrebbe da chiedersi piuttosto se gli androidi ascoltino questi impulsi nei loro rave post-apocalittici; ma soprattutto, il fatto che le frequenze di Ikeda entrino così in sintonia con un orecchio umano nel 2017, cosa può far pensare sullo statuto di un tale piacere? Le pulsazioni elettro-informatiche del giapponese finiscono a trovare uno spazio di contatto dove non vale più la differenza tra tecnologico e biologico, tra mentale e fisico. Allora l’interrogativo muta, perché non è già androide, l’uomo, oramai parte stessa dell’onnipresente protesi macchinica nella vita biologica? L’esperienza sinestetica di Ikeda consiste nel procedere simultaneo di una narrazione sonora e di una narrazione visiva in un rapporto non causale tra di esse. Un’autentica entità elettrica è ciò che si dispiega per un’ora sullo – e nello – spettatore, configurandosi come qualcosa di intimamente sensoriale. Il live del giapponese non può che essere la vetta della prima serata.

 

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La sera successiva non inizia nel migliore dei modi, a causa di un cambio di location che si è reso necessario per motivi di agibilità della sala principale del Palamostre. Tuttavia, i set in programma si riescono comunque ad attuare nella sala sotterranea ‘Carmelo Bene’, grazie allo sforzo dell’organizzazione e alla disponibilità degli artisti ad esibirsi due volte, dividendo il pubblico nei due set delle 21.00 e delle 23.30. In questa seconda mandata, ad occupare la scena per primi sono i Cellule D’Intervention Metamkine, con il loro cinema espanso. I tre francesi dispongono le loro cineprese in diversi punti della sala, per poi iniziare con la proiezione di un non-film a più dimensioni. Forme psichedeliche, colori e a volte figure si susseguono proiettati e distorti, mentre i rumori concreti dei Metamkine concorrono alla colonna sonora. A volte è invece l’immagine ad essere accompagnamento del suono, fino ai titoli di coda, in cui l’irrompere della presenza del creatore nell’opera si esprime in una sfera specchiata illuminata da un fascio luminoso, mentre viene fatta rotolare in diverse zone della sala e gentilmente accompagnata fuori.

I due Sculpture offrono un set audiovisivo più tradizionale: da una parte il suono, dall’altra i visual. L’effetto frenetico delle immagini è dato dal loro posizionamento sopra il piatto in movimento di un giradischi e dalla proiezione di esse sul muro. La giocosa psichedelia degli Sculpture è poi caratterizzata da ritmi sghembi, tra il digitale e l’analogico, che riportano alla mente certi lavori degli Shit & Shine o dei Black Dice.

In ultimo gli Emptyset, progetto di Bristol che vanta uscite su Subtext, Raster-Noton e Thrill Jockey. È un peccato che l’enorme quantità di basse frequenze del gruppo non riesca a trovare il giusto equilibrio nell’architettonica della stanza, andando a creare una serie di vibrazioni – effetto su cui gli Emptyset comunque giocano – che finiscono per sovrastare eccessivamente gli accorgimenti sonori più sottili, come quelli del cordofono che caratterizza maggiormente le ultime due uscite per, appunto, Thrill Jockey. Il live degli Emptyset riesce comunque a trasmettere la propria intensità oscura e tattile, con un potente suono industriale a cavallo tra il rhytmic noise e la drone, senza sdegnare gli ammiccamenti ai ritmi della techno.

 

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Tenendo in considerazione il fatto che esse sono il gran finale di un mese ricco di altri incontri, il bilancio delle due serate non può che essere positivo. Lo sforzo di Hybrida ha permesso di chiudere questo 2017 nel migliore dei modi, facendo comparire anche Udine nella cartina geografica degli eventi di musica elettronica. Verrebbe da sperare che un’associazione così sensibile alle diverse configurazioni del suono e così attiva, in grado di attirare pubblico proveniente da fuori i confini friulani, riceva ancora più disponibilità, soprattutto per la questione degli spazi, in maniera tale da riuscire a svolgere il proprio lavoro a livelli ancora più alti. Il consiglio è quello di tenere sott’occhio gli eventi a venire, in attesa del nono Free Music Impulse.

 


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