We lay my love and I / Beneath the weeping willow
But now alone I lie / And weep beside the tree
Singing “Oh willow waly” / By the tree that weeps with me
Singing “Oh willow waly” / ‘Till my lover returns to me
We lay my love and I / Beneath the weeping willow
A broken heart have I
Oh willow I die / Oh willow I die
[O’ Willow Waly, Georges Auric e Paul Dehn, voce di Isla Cameron]
Oramics è una macchina, è una tecnica di creazione del suono ideata nel 1957 e concretizzata nel 1962. La sua grande rivoluzione fu quella di produrre suoni elettronici utilizzando dei segni grafici semplici, da linee curve a punti e a scarabocchi, disegnati su dieci differenti pellicole e introdotti nel dispositivo: la rifrazione luminosa sulla pellicola, variando a causa delle immagini, veniva scansionata, modulata e poi tradotta in suoni reali. Genitrice dell’ideazione fu l’inglese Daphne Oram (1925-2003), la prima donna a dirigere uno studio di musica elettronica, ad aprirne uno proprio, e la prima a creare uno strumento musicale di quella matrice.
[Criterion Collection Webpage]
La sua insaziabile voglia di sperimentazione le farà raggiungere obbiettivi allora impensabili, anche perché quello in cui cercò di inserirsi era un ambiente prettamente maschile. Tuttavia, non le sarà mai concesso il meritato riconoscimento per la propria ricerca, e non ne verrà del tutto compresa l’importanza almeno finché non ne sopraggiunse la morte. Ingegnere del suono, mente brillante, compositrice anche di un lavoro per orchestra, per seguire la propria creatività si trovò addirittura costretta ad abbandonare la BBC nel 1958, dopo oltre 16 anni di – non troppo entusiasta, a dire il vero – collaborazione: precisamente, poco tempo dopo la fondazione con Desmond Briscoe del BBC Radiophonic Workshop (qui un elenco delle produzioni), il gruppo che portò i primi nuovi suoni all’interno della televisione, e quindi nelle case di tutti i cittadini.
Daphne Oram non voleva più essere costretta a creare solamente effetti speciali, jingles, sottofondi: voleva far acquistare ai suoi nuovi suoni la definizione di musica elettronica, dopo che anche l’uso di quel termine le venne proibito. Gli anni trascorsi nella sua nuova casa-studio a Tower Folly (luogo di nascita dell’Oramics, dal quale non si separerà nemmeno dopo l’arrivo dei primi computer) sono felici e molto produttivi. Soltanto un grave ictus riuscirà a separarla dalla sua passione più grande.
Nel 1961 il suo talento venne impiegato per completare un’interessante soundtrack (firmata Georges Auric oltretutto, forse il più celebre membro dei Les Six), utilizzando suoni elettronici e quelli che lei chiamava “music concrete sounds”. La trasmissione radio Wee Have Also Sound-Houses riporta, tra le altre, registrazioni della grandiosa artista mentre racconta della sua esperienza, che non le è stata accreditata nemmeno nei titoli di testa.
Il film in questione è Suspense (The Innocents), diretto e prodotto da Jack Clayton, con Freddie Francis a dirigere la fotografia.
La dolce apertura di The Innocents è buia, oscura, scandita solo da un canto infantile, tanto angelico quanto malinconico. Successivamente, un leggero cinguettare di uccelli contrasta la forte immagine di due mani in preghiera, che tremano sotto i titoli di testa. A questi elementi si sovrappone un pianto, arreso ed impotente: l’inquadratura si allarga, e una donna dal viso indurito lascia che alcuni dei suoi disperati pensieri arrivino a noi, sullo stesso fondo nero che accompagna tutta l’introduzione. Una meravigliosa Deborah Kerr interpreta Miss Giddens, una giovane e delicata istitutrice, che subito dopo la criptica sequenza iniziale ritroviamo sorridente ad un colloquio lavorativo, il quale rappresenta la chiave che rende possibile lo svolgersi delle vicende del lungometraggio. La giovane accetta fermamente, dopo una lieve titubanza, di occuparsi dei nipoti di un ricco gentiluomo (Michael Redgrave), tristemente rimasti orfani di entrambi i genitori e successivamente anche della governante che l’ha preceduta.
A Bly si trova la tenuta in cui i ragazzini sono stati fatti stabilire, lontani dallo zio che non ha “spazio mentale né emotivo” per loro, e perciò non desidera nessun tipo di preoccupazione. Miles è ancora al collegio quando la bella Miss Giddens giunge all’immensa residenza, mentre Flora è a dir poco angelica, accoglie la governante con il suo immediato affetto ed un chiacchiericcio adorabile. La protagonista incontra anche Miss Grose (Megs Jenkins), la corpulenta domestica dall’animo dolce e semplice, che la accoglie con esplicito sollievo.
Le preoccupazioni riguardanti il lavoro che avevano inizialmente assillato Miss Giddens svaniscono alla semplice vista della nuova amica, della splendida e tranquilla tenuta e di quella bambina incantevole. Anche una lettera spiacevole potrebbe perdere d’importanza in un momento di simile stupore: una comunicazione di espulsione dall’istituto, riguardante il signorino Miles, non solleva infatti quasi alcuna preoccupazione nella mente dell’educatrice. Se anche ne fosse restata una, lieve ma comunque salda, si sarebbe poi dissolta in occasione dell’anticipato arrivo di quel ragazzino così eccezionale, così mirabile. La protagonista è del tutto rapita dai due piccoli fratelli, proprio come lo è ogni spettatore, grazie alla grandiosa abilità recitativa e la bellezza – innocente, appunto – dei giovani attori (Martin Stephens e Pamela Franklin), i quali conquistano con i loro sguardi e con le loro frasi cadenzate, con i loro inchini e le loro gentilezze colme d’affetto.
Questa dolce bellezza non sarà tuttavia sufficiente per mantenerli puri, né riuscirà a salvarli dalla corruzione. All’interno dell’oasi paradisiaca di Bly si celano in realtà segreti indicibili, e del marcio che ben presto sconvolgerà ogni equilibrio, soprattutto quello che regola i rapporti tra i personaggi principali. Avvenimenti singolari, voci, visioni e quelle che forse sono allucinazioni rappresentano le componenti chiave di lungometraggio che può essere considerato un vero e proprio capolavoro, che si inserisce tra i capostipiti dell’horror psicologico. A differenza delle coeve produzioni resta ancora oggi un’opera dal valore incredibilmente elevato. Anche il grande Martin Scorsese lo ha riconosciuto, e lo inserisce nella sua lista di film più paurosi di sempre.
Fonte d’ispirazione per il regista è un piacevole racconto del 1898, intitolato Giro Di Vite (The Turn Of The Screw) e scritto dallo statunitense – solo di nascita, in realtà inglese a tutti gli effetti – Henry James. Il testo riflette perfettamente il rigido ma corrotto clima vittoriano dell’Inghilterra di quell’epoca, e lo fa attraverso gli occhi di Miss Giddens (o meglio, le parole). Lo sviluppo della vicenda è infatti narrato in forma di diario appartenente alla giovane governante. La scelta operata ha consentito la creazione di un profilo molto dettagliato della protagonista, ancora più minuzioso rispetto alla trasposizione cinematografica. Sono presenti solo una manciata di personaggi che non verranno menzionati nel lungometraggio, perché esterni alla vicenda principale, come ad esempio Douglas, che ha il merito di portare alla luce il ricco diario. All’interno del libro c’è decisamente meno spazio riservato alla descrizione intima dei due bambini, e della complessità del loro ruolo: i dialoghi che li coinvolgono sono esigui, così come i bizzarri episodi che li vedono direttamente partecipi. Molto più approfondito è invece il rapporto amichevole e quasi fraterno tra Miss Giddens e Miss Grose, che con il graduale aggravarsi della vicenda riescono a legarsi in un rapporto molto profondo, più trascurato nel film.
Undici anni esatti dopo l’uscita di The Innocents, il regista Michael Winner propone un’interessante interpretazione (sebbene assolutamente non riuscita) di un prequel ipotetico delle vicende narrate sia dal libro che dal lungometraggio: Improvvisamente, un uomo nella notte (The Nightcomers). Peter Quint è qui impersonato da un davvero-poco-affascinante Marlon Brando, Miss Jessel è Stephanie Beacham. Nessuna tra le situazioni e le scene di questo film è contenuta in Giro di Vite o in The Innocents, ma è intuita in modo semplice dalle informazioni sul legame tra i ragazzini e la curiosa coppia, sempre davvero molto vaghe in entrambe le fonti. L’incongruenza più evidente del prequel rispetto al film originale è che, in quest’ultimo, Miles e Flora (interpretati da Christopher Ellis e Verna Harvey) non sono più bambini, ma vengono immaginati in piena età adolescenziale. Questo, probabilmente, a causa dell’impronta marcatamente sessuale della trasposizione. La colonna sonora totalmente inadatta alle vicende, inoltre, rende quasi insopportabile la visione del film.
I Miles e Flora più ingenui e innocenti (Martin Stephens e Pamela Franklin) non vedranno la partecipazione a The Innocents come unica esperienza cinematografica: entrambi proseguiranno la carriera, e molto spesso si ritroveranno ad apparire in produzioni di simile matrice. Martin Stephens fu attivo dal 1954 al 1966, attore quindi solo in giovanissima età (da ricordare, ad esempio, ne è l’apparizione nel 1960 tra i protagonisti de Il Villaggio Dei Dannati). Pamela Franklin, invece, ebbe una carriera più lunga rispetto al collega, la quale culminò nel film horror-demoniaco Dopo La Vita (The Legend Of Hell House, di John Hough), con soundtrack firmata da Delia Derbyshire.
Il regista di The Innocents, Jack Clayton, ha tra i meriti principali per la realizzazione di questo film quello di aver operato delle scelte finemente efficaci nel riuscire ad immobilizzare gli spettatori in tensione per tutti i cento minuti di durata, senza l’utilizzo di artifici spettacolosi evidenti. I contrasti tra luci e ombre all’interno della pellicola sono molto forti, quasi al pari degli effetti ottenuti oggi in digitale, e riescono a saturare di profondità ogni singola scena. Molti frames hanno una bellezza visiva notevole, quasi “scultorea”, e anche le complicate scene che descrivono le riflessioni più inquiete di Miss Giddens sono condotte in maniera magistrale: immagini in movimento che si sovrappongono, cambiano, si muovono, cambiano ancora, esasperate da voci e suoni che si intensificano sempre più e che portano all’ipnosi dell’osservatore. Le composizioni create da Daphne Oram trasmettono istantaneamente questa sensazione, che è realmente coinvolgente e lascia intuire che le stranezze sempre più numerose che si stanno verificando non sono solamente create dall’evidente psicosi della protagonista. I suoi dubbi e le sue incertezze sono del tutto concrete.
Questo film non solo mostra delle “anomalie”, ma le fa provare. Il più grande merito di questa produzione è quello di far rivivere la stessa confusione, terrore (e finale sollievo?) che avverte la protagonista, così finemente studiata ed interpretata da arrivare immutata agli spettatori. Il film è oltre cinquant’anni lontano da noi, e non lo si direbbe.
Eravamo soli nella placida luce del giorno, e il suo piccolo cuore spezzato aveva cessato di battere.
ENGLISH VERSION
Translation by Cristina Ruggieri
We lay my love and I beneath the weeping willow
But now alone I lie and weep beside the tree
Singing “Oh willow waly” by the tree that weeps with me
Singing “Oh willow waly” till my lover return to me
We lay my love and I beneath the weeping willow
A broken heart have I
Oh willow I die, oh willow I die
[O’ Willow Waly, Georges Auric and Paul Dehn, voice by Isla Cameron]
Oramics was both a machine and a sound-creation technique, designed in 1957 and become true in 1962. The most revolutionary feature about it was the production of electronic sounds starting from simple graphic signs, like doodles, dots, curves and squiggles. They were traced on ten diffent stripes of film and then introduced into the device: the refraction of the light on the film, varying according to the frames’ content, were scanned, modulated and the translated in actual sounds. Daphne Oram (1925-2003) was the mother of the Oramics, and further she was the first woman to conduct an electronic music studio and to open a new one by herself.
Her endless hunger for experimentation will bring her to unthinkable goals at the time, being the sperimental-electronic music scene exclusively men’s business. However, she was never credited for the importance of her researches, never quite recognized as valid as they should while she was alive. Daphne Oram was a sound-engineer and a composer (she wrote also an orchestral piece) and she was forced to leave the BBC in 1958, after 16 years of not-so-pleasant collaboration. She founded together with Desmond Briscoe the BBC Radiophonic Workshop (here a list of its productions): the group would bring innovative sounds to be played on the television, and consequently in every citizens’ home.
Daphne Oram was sick of creating only special sound effects, jingles or backgrounds. She wanted to make and investigate the possibilities offered by electronic music – she’s been forbidden to define as “music” what she was producing at the time. So, she decided to move in a new home-studio, Tower Folly, the place where Oramics was firstly assembled. She will never quit to work with it, even when the first computeres surfaced. These years will be joyous and truly productive, it seemed that nothing could ever divide Daphne and her fervent passion. Unfortunatelly her life was cut off by a stroke, and she died almost unnoticed.
In 1961 her indisputable genius was employed to complete a really interesting soundtrack, signed by Georges Auric (maybe the most known member of Les Six). She used electronic sounds conjointed in what she defined “music concrete sounds”. The radio show Wee Have Also Sound-Houses brought us some vocal recordings of this magnificent woman, in which she talks of her movie experience although her partecipation has not been credited, not even in the headlines of the motion picture. The movie we refer to is a masterpiece called The Innocents, directed and produced by Jack Clayton, with Freddie Francis as director of photography.
The gentle ouverture of The Innocents is dark, obscure, and all that can be heard is child singing, so angelic yet so melancholic. Afterwards, birds chirping softly are juxtaposed to the image of two praying hands, shivering under the headlines. A surrendered, powerless weeping reaches our ears: the scene opens widely on the rugged face of a woman. She lets some of her desperate thoughts come out from her mind, with the same dark background. A wondrous Deborah Kerr embodies Miss Giddens, a young and gentle governess, that we suddenly see smiling after the so-cryptic movie opening. She’s sitting in the middle of a job interview, which is the instigating event for the further developing of the story. The woman accepts the offer of the rich bachelor (Michael Redgrave) to take care of his two grandchildren whose parents sadly died a few years back and whose preceding governess had died too.
The kids were instituted in a mansion, in Bly, far from their uncle, who has “no room for them, mentally or emotionally” and he doesn’t want any kind of concern reguarding them. When Miss Giddens arrives at the estate, Miles is still at college, but Flora appears so angelic with her unconditioned affection and her adorable chatter. She also meets Miss Grose (Megs Jenkins), a tender housekeeper animated by a simple and sweet soul who welcomes the woman with an outspoken relief.
Miss Giddens was initially concerned about the new job, but her concernment is easily vanished thanks to the sight of her new friend, the wonderful, quiet mansion and the enchanting child. Even an unpleasant letter would not address much worry in such an astonishing moment: it is a letter coming from Miles’ institute, reporting the expulsion of the boy. So, despite the serious situation, the governess does not seem to be very troubled from the information – and how marvelous he was, how remarkable! Miss Giddens is totally mesmerized by the two kids, just as much as every spectator: their sweet – and innocent – beauty is capturing. They immediately conquer us with their birdly talking, their bows and their true kindness, perfectly staged by the great young-actors Martin Stephens and Pamela Franklin.
However, this mildness will not be enough to keep the children pure, nor will it save them from corruption. The heavenly Bly hides something under the surface. Unspeakable and rotten secrets that will make the saneness of the characters fall down. Sinister events, strange voices, apparitions and hallucinations adds up in a true masterpiece, one of the first examples of the psychological-horror genre. Even the great Martin Scorsese loves it, and he added it on a list of the Scariest Movies of All Time.
Jack Clayton was deeply inspired from a nice novel called The Turn Of The Screw. It was written in 1898 by Henry James, an american writer that became a naturalized British citizen. His words are reflecting precisely the prudery and the high moralism of the Victorian era of the British history. Miss Giddens narrates personally the flow of the events, since the novel develops in a diary form. The book represents the journal of the young woman and allows us to create a really detailed psychological profile of the character, more precisely than in the motion picture.
In the book there are also few extra characters that has not been mentioned in the movie since they’re outside the main plot, such as Douglas, the guy who gets to discover the pregnant Diary and brings it to light. In the book, much less space is reserved for the intimate descriptions of the two kids and the complexity of their characters: the dialogues involving them are very slim, and the episodes directly reguarding them are quite bizarre. Instead, the almost brotherly friendship born between Miss Giddens and Miss Grose, is talked in many pages inside the book while in the movie is neglected.
After 11 years since The Innocents came out, the director Michael Winner proposed an interesting prequel, even if totally unfullfilling considering the outstanding quality of both the movie and the book we’re talking about. Completely detached from them, The Nightcomers sees the partecipation of a way-not-fascinating Marlon Brando emboding Peter Quint, while Miss Jessel is Stephanie Beacham. None of what happens in Winner’s movie is present in the book: instead, it is inferred directly from the scarce informations about the relationship between the kids and the strange Quint – Jessel couple provided by both the sources. The main discrepancy between the prequel and The Innocents is the shocking fact that Christopher Ellis and Verna Harvey, playing Miles and Flora, are not children but actual teens. This might had something to do with the explicit sexual connotation of the movie. Further on, the unfitting soundtrack makes the vision of The Nightcomers an almost unbearable experience.
Martin Stephens and Pamela Franklin, the naive and innocent Miles and Flora, continued their respective acting career often playing roles in horror-gothic movies. The former’s career lasted from 1954 to 1966 – only as a child, basically. To be remembered is his appearence in The Village of The Damned, 1960. The latter, instead, reached her peak when impersonating a medium in John Hough’s The Legend Of Hell House, whose soundtrack was scored by Delia Derbyshire.Jack Clayton’s great ability and inspiration brought him to operate fine and much effective choices managing to leave the spectators stunned and tensed all throughout the 100 minutes spanned by the movie, without resorting to spectacular or cheap special effects. The darkness – light contrast in the film is strong and provides almost sculptorean takes on the characters and the scene surrounding them. All the sequences following Miss Gidden’s descent into confusion and anxiety are magistrally lead through the usage of moving and overlapping images, changing shapes, and exasperated voices and cold electronic sounds growing of intensity and hypnotizing the viewer. Daphne Oram’s compositions are perfectly appropriate for this goal, and brings the public in a dark whirl of feelings aligned to the one Miss Gidden is living. Her doubts and uncertainty are concrete and can be touched by hand (ear?).
The Innocents not only shows anomalies, it makes the public feel them. Probably the greatest feature of this movie is the capacity for the watcher to live the same confusion, terror (and relief, maybe? – see the final scene) experienced by Miss Giddens, so perfectly and delicately staged and transposed on the screen. The movie is more than 50 years far from us, but it’s hard to notice.
We were alone with the quiet day, and his little heart, dispossessed, had stopped.
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