PORTRAIT#3: Andrea Benedetti [SNS, Plasmek, Final Frontier, Sysmo]

Drawing by Cristina Ruggieri

Settimana scorsa abbiamo avuto il piacere e l’onore di rendere di dominio pubblico la scansione dei primi due numeri della prima fanzine techno Italiana, Tunnel. La fanzine rappresentava uno dei tentativi, dei quali il primo concretizzato in formato cartaceo dedicato, di riflessione e di espressione di tematiche culturali legate al mondo della musica techno (nonostante i protagonisti della fanzine siano poco propensi ad utilizzare questa etichetta), dell’imminente futuro, dei rave party, di cyberpunk, psichedelia e molto altro. Il tutto di sottoforma di interviste, report, rubriche a tema, riflessioni, articoli informativi e molti spunti divertenti, ed il tutto strettamente sviluppato attorno alla Musica, il vero e principale oggetto di interesse.

Qui di seguito è possibile trovare entrambi i numeri di Tunnel, pazientemente scannerizzati ed inseriti in due diversi pdf pronti per essere sfogliati [click sulla cartella oppure su Exclusive Contents Section].

Oggi, invece, ritorna l’appuntamento mensile con la serie PORTRAITS, il cui terzo episodio è stato firmato da Andrea Benedetti in persona. Al di là dell’attività di supporto e documentazione della scena, Andrea ne è stato attivo e fondamentale partecipante, e di conseguenza la sua produzione musicale ed attività come DJ meritano di essere approfondite. Qui sotto si trova il mix realizzato per noi, seguito da una breve e non esaustiva introduzione al personaggio, la vera e propria intervista, ed infine la tracklist del mix di circa 65 minuti di durata. Una tracklist molto speciale, nella quale, per ogni singolo pezzo, Benedetti ha fornito una breve ma interessante spiegazione. Insomma, una mole di informazioni, curiosità ed aneddoti veramente imponente, che soddisferà ogni appassionato. Da non perdere!

A fronte di tre diversi alias, più due progetti in collaborazione con l’amico Eugenio Vatta (The Noisy Project e Frame), Benedetti ha rilasciato 7 dischi: uno a nome Skull, uno a nome New Acid Generation, e 5 come Sprawl, il moniker più utilizzato e probabilmente più rappresentativo dello stile del producer. Nonostante raccomandiamo l’ascolto di tutte queste release, ne abbiamo scelte quattro:


DISCOGRAFIA CONSIGLIATA


  • Skull – Judgement Day [1992, Sounds Never Seen / Sysmo, 12”] – Judgement Day è un disco hardcore – quale disco della SNS non lo è? – che si sviluppa attorno a mood tesi e cupi, e tematiche violente (Judgement Day, Serial Killer, Buried Alive). Fortemente sperimentale ed innovativo, il 12” rappresenta uno dei capolavori della prima scena techno Italiana di Roma. Per ascoltare: https://www.youtube.com/watch?v=QVLW6LSEZQA
  • New Acid Generation – Neural Acid [1992, Sysmo, 12”] – Neural Acid 12” è una release di techno ossessivamente ripetitiva e ipnotica, articolata in tre diverse tracce: Neural Acid, poi ripresa e rielaborata nel 2009 in Mechanic Phunk, Deviate e Osmosis. La prima sfiora i 10 minuti di durata, ed è un loop reiterato all’infinito di un kick secco e movimentato, sul quale si incastrano elementi rumorosi, fischi, e tappeti di synth. L’acida Deviate e la UR-iana Osmosis completano l’imperdibile disco. Per ascoltare: https://www.youtube.com/watch?v=Bk5vTSl-N4U
  • AA.VV. – Child Rome [1992, Sysmo, 12”] – In questa uscita per Sysmo del 1992, Benedetti compare con il musicista Eugenio Vatta, collaboratore di Tunnel e amico molto stretto (molte informazioni a riguardo sono disponibili nell’intervista). Il duo, sotto l’alias The Noisy Project, firma una delle quattro tracce, dal titolo Percezioni, che spicca per il tiro inarrestabile.
  • Sprawl – Mechanic Phunk [2009, Solar One Music, CDr] – Il primo full-length di Andrea Benedetti è quello uscito pochi anni fa per Solar One Music, etichetta tedesca nata nel 2006. Mechanic Phunk si candida a testamento riassuntivo di tutta la carriera di producer di Benedetti: in esso appare una mistura perfettamente bilanciata di techno propriamente detta (Cybotron / Model500), beat minuziosamente studiati e phunk decostruito. Il tutto condotto con un’evidentissima impronta personale focalizzata sulla realizzazione di tracce senza compromessi: la Musica al primo posto, come già accennato nell’articolo di Tunnel [http://bit.ly/Tunnel-Techno]. Il disco contiene due remix ad opera di DJ K-1 e degli Exaltics.  Per ascoltare: https://solaronemusic.bandcamp.com/album/mechanic-phunk

L’attività di Andrea Benedetti proseguì negli anni anche nella direzione della documentazione della nascente, e successivamente matura, scena Romana, con un occhio sempre aperto ai nuovi nuclei di altre città Italiane (come ad esempio Napoli). Il frutto di questa instancabile attività è culminato nella pubblicazione nel 2006, per Stampa Alternativa, del libro Mondo Techno, ad oggi non più in catalogo e quindi in possesso di pochi – circa 1500 – fortunati. Il tutto accompagnato da una meravigliosa compilation di 8 tracce, di cui sarà possibile leggere nell’intervista sottostante (pagina discogs).

Benedetti fu partecipante attivo anche nell’organizzazione di eventi. In questo contesto spicca, tra gli altri, il ruolo di co-art director con Mauro Boris Borella e Marco Passarani del festival chiamato Distorsonie, che si svolgeva presso il Link di Bologna. L’esperienza, nata nei primi anni novanta e conclusasi nel 2004, è una delle più importanti di sempre nel panorama Italiano, dato che concretamente Distorsonie rappresenta il primo festival di musica da ballo realizzato nel nostro paese propriamente detto. Qui sotto è visionabile, direttamente dal canale YouTube del Link, un estratto di un’edizione del festival che vantava la partecipazione di Mad Mike Banks / UR, con il quale Benedetti ha coltivato nel corso degli anni un rapporto profondo di amicizia e stima reciproca (lettura consigliata in tal senso: questa). Per un’ulteriore sguardo approfondito a Distorsonie ed il Link di Bologna, segnaliamo quest’interessante articolo apparso su frequencies.eu.

L’intervista che abbiamo realizzato – al solito dal valore retrospettivo ed omnicomprensiva rispetto all’intera carriera dell’artista, dai primi anni 80 fino al recente coinvolgimento nelle serate Go Bang a Roma – rappresenta in diversi punti una vera e propria confessione del producer e dell’Uomo, quindi ne raccomandiamo caldamente la lettura. PORTRAIT#3 fornirà l’accompagnamento più adeguato all’operazione. Enjoy!


D: Ciao Andrea, siamo felicissimi di averti nostro ospite per la serie PORTRAITS. La prima domanda è, come prevedibile, riservata al mix che hai preparato. Hai usato solamente tracce di tua produzione o hai inserito qualche outsider? I pezzi compaiono in ordine cronologico di uscita?

R: L’idea principale che mi ha solleticato per far questa intervista/ritratto era la possibilità di mettere vicino una all’altra delle mie tracce. E’ una cosa che non faccio quasi mai, anche quando faccio un dj set. Fra l’altro è stata anche l’occasione per risentire brani che non sentivo da anni. Alcuni suonano datati, altri li ho trovati piuttosto attuali o comunque senza tempo. Le tracce non le ho mixate in maniera cronologica, ma secondo la stessa modalità con cui le avrei messe se avessi fatto un dj set.

D: Iniziando invece l’intervista vera e propria, partiamo immediatamente con una domanda complicata: qual è il tuo parere riguardo alla forte rivalutazione / mitizzazione che sta avendo oggi il Sound of Rome di cui sei stato uno degli artefici principali? E’ una questione di maggior accessibilità dovuta ad Internet e quindi di espansione del pubblico interessato o c’è dell’altro?

R: Premetto che gli artefici del movimento secondo me sono stati Lory D e Leo Anibaldi. Io ho avuto l’onore e la fortuna di aver contribuito alla crescita del movimento techno sperimentale romano, ma non credo di essere stato uno degli artefici principali. Io credo che questo movimento sia stato talmente particolare nella sua rielaborazione di stili matrice tipo la techno e acid house che è normale che, nel momento in cui ci si imbatte in qualche suo prodotto, vecchio o nuovo, di chi lo ha plasmato negli anni, ne apprezzi subito l’originalità e la splendida commistione fra sperimentazione e ballabilità. Inoltre credo che la massiccia proposta giornaliera di prodotti pseudo-house e techno con produzioni piatte e senz’anima, abbia generato nella gente una voglia di qualcosa di più profondo e corposo a livello sonoro. Poi ovviamente Internet ha fatto in modo che tutte le info sparse che c’erano venissero alla luce e quindi molti ragazzi giovani hanno scoperto questo piccolo grande mondo.

[Andrea Benedetti @Warp Night]

D: A quando risale la tua prima registrazione di sempre? Che tipo di attività svolgevi dietro la console? Suonavi spesso? Hai mai elaborato un live utilizzando delle macchine?

R: La mia fascinazione per la registrazione nasce dall’ascolto dei dischi che hanno formato la mia adolescenza: funk, electro, new wave e hip hop. In particolare la fusione fra elettronica e groove. Analizzavo i suoni e cercavo di capire da dove venisse quel particolare rullante o basso. Erano gli inizi degli anni 80’ e sembra strano dirlo oggi che abbiamo tutto in tempo reale sul nostro cellulare, ma non c’era alcuna informazione se non nelle note di copertina dei dischi o su riviste specializzate come Fare Musica. E ovviamente nei negozi di dischi, che erano il vero punto di incontro fra ascoltatore e prodotto. Quasi tutti i miei amici suonavano rock o jazz fusion. Si sentiva tanta musica ed io ero quello fuori dal coro, ma allo stesso tempo non mi sono mai sentito un fan della “dance” in senso stretto, quel termine l’ho sempre trovato riduttivo. Mi piaceva la musica a 360° e potevo passare dagli Earth Wind & Fire a John Robie, da i Pink Floyd alle produzioni della Celluloid o a Herbie Hancock.

Verso la metà degli anni 80’ ho conosciuto Eugenio Vatta perché stavamo assieme al Liceo. Lui era un anno avanti a me e stavamo nella stessa sezione. Ci parlammo grazie al comune amore per i Pink Floyd e io lo seguivo quando suonava con i suoi gruppi. Lui era molto bravo dal punto di vista tecnico, oltre che come tastierista. Aveva un mare di synth e mi introdusse alla registrazione ed alle sue problematiche. Verso la fine degli anni ’80 aprimmo uno studio di registrazione assieme in cui in seguito registrammo i primi tre dischi della Sounds Never Seen di Lory D. Lui era molto più bravo di me e quando c’erano cose più complesse gli lasciavo la consolle, ma tutto quello che ho appreso l’ho poi messo nelle mie produzioni soliste su Plasmek e altre etichette con cui ho collaborato.

Con Eugenio poi abbiamo realizzato un progetto live molto bello. Si chiamava Frame ed era basato sul principio che il pubblico vivesse un’esperienza completa, audio e video, suonando in diretta con strumenti elettronici su un video che preparavamo. Io mi occupavo della parte video, montando vari pezzi di film e video che realizzavamo noi, e di quella ritmica, suonando in diretta una 808 e una 606 della Roland che erano sincronizzate con una 303 ed un SH-101, sempre Roland. Eugenio invece suonava dal vivo synth e sampler. Creavamo delle linee guida per i pezzi, poi realizzavamo il video e poi improvvisavamo il resto dal vivo. Abbiamo suonato in vari festival sia in Italia che all’estero ed è stato un progetto a cui tenevamo molto.

D: Ti va di descrivici brevemente in cosa si differenziano le tue produzioni con un alias rispetto che all’altro? Perchè New Acid Generation e Skull si sono fermati ad una singola release ognuno? Come mai hai deciso di rielaborare e riproporre la traccia Neural Acid nel tuo disco Mechanic Phunk del 2009?

R: Tutto nasce a seguito delle uscite con la Sounds Never Seen. Stando sempre in studio avevo registrato delle tracce. Le feci sentire a Sandro Nasonte che era il proprietario di Remix, storico negozio di Roma, e uscirono su etichetta che produceva lui, la Sysmo. Erano tracce con differenti mood così le raggruppai in modo diverso: la prima uscita la chiamai New Acid Generation e la seconda Skull. Il primo progetto era legato ad una reinterpretazione dell’acid house in chiave più dark e aggressiva. Il secondo ad una versione più industrial della techno non necessariamente legata al ritmi con cassa in 4/4. Quando poi ho iniziato a produrre su Plasmek, la mia etichetta, ho iniziato ad usare lo pseudonimo Sprawl. Il nome nacque grazie ad una intuizione di Giampiero “Boccia Bean” Fagiolo del gruppo T.E.W.. Con lui e Simone Renghi realizzai due brani per il mio primo disco su Plasmek a cui poi aggiunsi altri miei due brani. Quel nome poi lo usai anche per i miei progetti successivi su Plasmek. “Neural acid” è una delle mie tracce preferite fra quelle che ho realizzato. L’ho registrata nello studio di Lory quando lui era in giro per serate usando i miei strumenti ed il suo bellissimo mixer (al tempo aveva un glorioso TAC Scorpion). E’ registrata live con una 606, un Juno 106 ed un Oberheim. La versione uscita nel 2009 è leggermente più breve perché ho eliminato alcuni passaggi che non mi piacevano. Trattandosi del mio primo album e per la label di un artista che rispettavo molto come The Exaltics, ci tenevo che ci fosse anche quel brano perché mi rappresenta al 100%.

[Da sinistra: Andrea Benedetti, Marco Micheli, Alan Oldham, via]

D: Da diverse interviste reperibili online emerge chiaramente quanto l’hip hop dagli USA sia stato fondamentale per te (ed, in generale, per la generazione d’oro del Sound of Rome a cui appartieni). Qual era invece il rapporto tra la vostra scena rave e la cultura Rap cosiddetta delle Posse che parallelamente stava nascendo nel periodo conclusivo del decennio 1980?

R: A Roma c’è stata e c’è tutt’ora una scena hip hop di grande spessore e molto radicale. Nell’hip hop anni ’80 c’era molta sperimentazione: drum machine, vocoder, sampler. Un approccio musicale molto libero che non aveva paura di rischiare e che colpì molti ragazzi a Roma. Poi c’è stato lo scratch ed il turntablism che erano una evoluzione del djing molto creativa: usare i giradischi come strumento. Era insomma un mondo sonoro affascinante e rivoluzionario. Non c’era comunque rapporto fra posse e chi produceva techno. C’era comunque molto rispetto.

D: Riallacciandoci alla domanda precedente, ritieni che la mancanza di un messaggio articolato in parole (propria della musica rave / techno) possa in qualche modo aver reso meno evidente il messaggio di rottura con il passato ed invettiva politica rispetto al Rap? O è tutto il contrario? Il messaggio della techno è ‘balliamo per distruggere tutto e ricostruire’ oppure ‘balliamo perchè in fondo non abbiamo altre possibilità’?

R: Io credo che la forza del messaggio della techno sia quello di dare forma al rapporto inespresso fra uomo e macchina. Il mondo in cui viviamo, ma anche quello che vivevamo verso la fine degli anni ’80, è ed era contraddistinto da questo rapporto. La Techno è esplosa proprio perché dava forma al cambiamento in atto con un linguaggio sonoro moderno e realmente alternativo al mainstream.

D: La tua attività di storico della musica techno italiana è stata accompagnata da qualche altra esperienza letteraria di sorta estranea al mondo della musica?

R: Io sono stato semplicemente un testimone del cambiamento. La mia apparente attività storica è solo legata alla curiosità di andare dietro le quinte di quel mondo così interessante che poi ho raccontato agli altri con la volontà di diffondere queste idee che altrimenti non avrebbero avuto voce. Purtroppo, a parte rari esempi, il giornalismo italiano ha sempre trascurato la musica techno relegandola nel ristretto contenitore della “dance” e non esaminandone gli aspetti più rivoluzionari. Per cui, a parte scrivere centinaia di recensioni, interviste ed un libro, non ho mai scritto altro. Sono un grande appassionato di fantascienza e fumetti e da ragazzo ho scritto dei racconti brevi, ma non ho mai approfondito. Ho cinque/sei soggetti molto interessanti, ma non ho il tempo di metterli nero su bianco e chissà se vedranno mai la luce. Magari in un’altra vita.

D: Quanto hai speso in termini di ricerca per scrivere il libro? Su che materiale ti sei concentrato e che periodo hai coperto?

R: Per scrivere il libro ci ho messo circa un anno. Ho cercato di intervistare quante più persone possibili sia in Italia che a Detroit. Il sottotitolo di “Mondo Techno” è infatti “Le origini della Techno e la sua diffusione in Italia” e quindi volevo avere un quadro il più possibile completo seppure conoscessi o avessi già intervistato molti artisti degli inizi. Sono soprattutto contento di aver intervistato Rik Davies, mente principale del progetto Cybotron a cui aderì anche Juan Atkins e che rappresenta le vere fondamenta della Techno di Detroit. Non è stato facile perché era ed è un personaggio molto schivo e complesso. Mi interessava capire le motivazioni che avessero spinto dei ragazzi di colore a entrare in un mondo apparentemente non loro e in una città che è stata la sede di una delle etichette soul più rappresentative di sempre, la Motown. Questa apparente incompatibilità mi ha sempre incuriosito e, dopo averli intervistati praticamente tutti, ho capito che la loro fascinazione per l’elettronica e la musica europea mescolata con il funk era assolutamente scevra da qualsiasi compiacimento fine a sé stesso.

Era una ricerca su loro stessi e su un mondo a loro alieno, fatto con una freschezza ed un rispetto unico. Lo stesso ho fatto nell’analisi della scena italiana, cercando persone che avessero avuto gli stessi stimoli partendo dai loro input. Mi sono reso conto che la scena techno romana prima e quella napoletana dopo, anche se in modo diverso, avevano capito profondamente quel messaggio. Per una questione di spazio, mi sono fermato al 1992/1993. Anche perché dopo la scena techno si è frammentata in mille rivoli e sotto generi rendendo praticamente impossibile una sua analisi approfondita se non avendo molte più pagine a disposizione, cosa che non era possibile perché c’erano dei limiti editoriali di pagine ben precisi per questa collana.

D: In che tiratura è uscito Mondo Techno? Quali tracce hai deciso di includere nella compilation allegata e perchè? Nessuna possibilità nemmeno remota di una ristampa futura?

R: “Mondo Techno” uscì in 1.500 copie. La collana di Stampa Alternativa su cui uscì si chiamava Sconcerto e prevedeva un CD in allegato. Con Alberto Castelli, direttore di questa collana e persona che mi propose di fare questo progetto, decidemmo di inserire alcuni brani rappresentativi della scena italiana. Purtroppo non riuscì ad avere brani della ACV per discussioni fra Leo e l’etichetta, per cui sul CD mancano quelli di Leo Anibaldi che erano molto importanti, ma non ci ho potuto fare nulla. Tramite Marco “Peedoo” Gallerani che conoscevo dai tempi del Link e che lavorava alla Expanded, etichetta madre della DFC, riuscì però ad avere la versione di Sueno Latino remixata da Derrick May che fu la ciliegina sulla torta. Ho risentito ultimamente Stampa Alternativa per chiedere una ristampa del libro, magari anche senza CD, ma loro lo avrebbero fatto solo in caso di un’edizione aggiornata. Io mi sono fermato al 1993 per i motivi di cui sopra per cui non ho intenzione di aggiungere altro a ciò che ho scritto. Per questo credo che non ci sarà una ristampa. Scrivetegli anche voi. Magari ce la si fa!

D: Per quale motivo Distorsonie a Bologna si è concluso? Hai mai vissuto in quella città o sei sempre rimasto a Roma? Qual era il tuo compito come art director? Chi sei più orgoglioso di aver visto suonare a Bologna (in questo caso, probabilmente la domanda può praticamente considerarsi retorica).

R: Il progetto di Distorsonie nacque nel 1993 per dare voce alle etichette elettroniche italiane. Era un’idea di Mauro “Boris” Borella del Link a cui noi aderimmo subito. In quegli anni infatti io e Marco Passarani avevamo iniziato la nostra avventura con la nostra società di distribuzione e produzione musicale, Remix Distribution the Finalfrontier, che nasceva inizialmente come costola dello storico negozio di dischi di Roma Remix e che noi stavamo sviluppando sempre più come catalizzatore per tutta quella musica che in Italia non aveva lo spazio che noi ritenevamo dovesse averne. I distributori storici del Nord Italia e di Napoli non avevano assolutamente capito la rivoluzione della techno e delle sue diramazioni e continuavano a proporre copie sbiadite di quel sound a livello produttivo. Anche dal punto distributivo non stavano inquadrando le giuste etichette da importare e cercammo di invertire la rotta. Il nostro riferimento era la Submerge di Detroit, centro di distribuzione e produzione degli Underground Resistance dove uscivano anche tantissime altre etichette come 430 West, Direct Beat, Transmat, Metroplex, KMS ed altre. Con il Link e Mauro venimmo in contatto tramite Fabrizio “Sinapsi” Usberti che importava techno hardcore in Italia da Genova.

Subito capimmo che il Link era il posto giusto dove suonare e proporre quel sound in modo libero e costruttivo. Capimmo anche che serviva creare un terreno comune a livello nazionale o perlomeno provare a farlo. Distorsonie si rivelò il progetto ideale e, soprattutto nelle prime edizioni, era un vero punto di incontro fra tanti artisti che in Italia facevano musica elettronica a 360°. Io e Marco poi contribuimmo alla sua crescita proponendo i giusti contatti per far venire a suonare in Italia tanti artisti stranieri che erano dei nostri riferimenti e che pensavamo fossero utili per creare in Italia l’humus giusto per far sviluppare questo movimento. In questo senso l’apice, per me, fu far suonare sullo stesso palco Underground Resistance e Jeff Mills assieme dopo tanti anni. Avvenne per il decennale di Finalfrontier e fu ancora più speciale. Nel corso degli anni il Festival crebbe molto, forse troppo, e, dopo una serie di investimenti sbagliati, si decise di interrompere. Fu il primo vero festival di musica elettronica da ballo in Italia e averne fatto parte o comunque sapere di aver contribuito alla sua riuscita, mi ha sempre lasciato una sensazione positiva addosso.

[Andrea Benedetti e Marco Passarani al Link di Bologna]

D: L’attività della label Final Frontier è ferma dal disco di Valerio Delphi o è proseguita dopo il 2009? Hai qualche programma per il futuro o quel capitolo è fondamentalmente chiuso?

R: Dalla fine del 1998 ho abbandonato Finalfrontier perché il mercato del CD ci aveva creato grossi problemi a livello di distribuzione e, di conseguenza, di produzione. Erano anni in cui il vinile non vendeva più come prima e alla fine è rimasto solo Marco Passarani a proseguire la sua attività produttiva con la sua Nature Records e con la Pigna, altra etichetta eccezionale che aveva sviluppato in quegli anni con Mario Pierro (Raiders of the Lost Arp e Starship 727) e Francesco De Bellis (Francisco). La Finalfrontier era un’altra etichetta parallela che sviluppammo nel 1997 per far uscire quattro tracce molto belle di J’S Pool (un duo inglese scoperto da Marco), Marco stesso con lo pseudonimo Passarani 2099, Eugenio Vatta e il primo singolo in assoluto dei Jolly Music ovvero Mario Pierro e Francesco De Belis. Poi l’etichetta restò ferma e Marco, con lo pseudonimo Analog Fingerprints nel 2004 fece uscire “Age of hipocrisy”, un disco molto importante perché venne è stampato e distribuito da Submerge. Come ho scritto prima avevamo fatto venire UR in Italia proprio nel 2004 per i dieci anni di Finalfrontier, che era il nome con cui chiamavamo il nostro centro di produzione/distribuzione. La scelta di questo nome era un omaggio al volantino pubblicitario che Submerge fece uscire nel 1992/1993. C’era Spock con il classico gesto di saluto vulcaniano e tutti i contatti della Submerge. Un’idea semplice e diretta che comunicava lotta alla discriminazione (un alieno che comunica pace) e voglia di futuro, quell’andare “dove nessuno era andato prima” che era una delle frasi base di Star Trek e anche di Mike Banks, il vero grande teorico degli UR, che poi omaggiò il tutto con il mitico brano “The Final Frontier”, forse uno dei pezzi più iconici di UR assieme a “Jupiter Jazz”, sempre di Mike. Noi eravamo amanti di Star Trek e degli UR per cui chiamare così questo nostro progetto, sulla carta utopico per l’Italia, fu un omaggio sentito e necessario.

L’etichetta era anch’essa un omaggio e quando venne Mike in Italia per suonare nel 2004 decidemmo con lui che era tempo di rendere tangibile questo rapporto di amicizia e rispetto che ci univa da anni e si decise di far uscire un disco nostro appunto su Finalfrontier che rappresentava questo punto di unione fra loro e noi, ma prodotto e distribuito da loro. Marco fece dei brani perfetti per quell’uscita e il disco fu la ciliegina sulla torta di un decennale da incorniciare. Successivamente Marco fece uscire sull’etichetta altri due artisti, Alan 1 (Raffaele Martirani) e Valerio Delphi, ma si trattava di due uscite con doppio numero di catalogo, rispettivamente anche Nature e Pigna. Dopo il disco di Valerio, l’etichetta si è fermata, anche perché Marco e Valerio iniziarono a sviluppare il progetto Tiger & Woods per l’etichetta di Gerd Janson, Running Back e ora, sempre tramite Running Back, hanno la loro etichetta omonima.

D: Come procede la tua attività di DJ oggi? Come ti senti riguardo alle serate GoBang? Che tipo di pubblico si presenta solitamente agli eventi?

R: Il progetto Go Bang è nato per caso ad una cena estiva a casa di Emiliano Cataldo, storico writer romano (Stand) e dj. C’erano anche Robert “Bob” Corsi, altro storico dj romano e proprietario dell’etichetta Penny Records, Alessandro “Slump” Carlo, dj del gruppo Soulfood e Francesca “Trickbabe” Garcia, dj romana. Ci conoscevamo da prima e la cena era solo il pretesto per rilassarci e sentire un po’ di musica, ma alla fine partirono mille analisi e i punti in comune erano più di quelli di distanza. La cosa era abbastanza normale in fondo perché la techno come l’house sono il prodotto di una evoluzione musicale che basa le sue radici nell’elettronica pura, nel soul e nel funk con tutte le derivazioni stilistiche che volete (electro, electrofunk, italo, wave, disco, ecc.). Essendo poi tutti grandi collezionisti di dischi ognuno portava i suoi esempi e le sue visioni, tutte eccitanti e interessanti. La cosa che più ci piaceva e, che ha sempre affascinato anche me, era quando si creavano dei mix fra musica bianca e musica nera. L’idea di una musica universale mi ha sempre affascinato sin dai tempi dell’electro in cui i beats dei Kraftwerk ispirarono un produttore bianco di Boston (Arthur Baker) e un grande dj nero (Afrika Bambaataa) per creare quel perfetto disco dance rap pop che è “Planet Rock”.

Avevo poi amato e tutt’ora adoro etichette come la Celluloid in cui artisti di diversa nazionalità si mettono al servizio del groove per creare qualcosa di unico e senza riferimenti. Lo stesso avvenne poi con la prima house di Chicago e relativa variazione acid e soprattutto per la Techno di Detroit. Musiche fatte da afro-americani che guardavano all’Europa. Un fatto nuovo dal punto di vista storico musicale e dal risultato spiazzante. Si decise quindi di provare a tirare su delle serate in cui in un’interpolazione continua fra noi cinque in consolle, con momenti anche di back to back improvvisati, si potesse passare dai Roxy Music a Lerry Levan, da Manu Dibango ai Talking Heads, da Sly & Robbie a Blondie, da Prince ai Blancmange, dagli Yello a George Clinton, dalle E.S.G. a Arthur Russell. In particolare Russell è importante per Go Bang sia perché è il titolo di un suo famoso pezzo realizzato come Dinosaur L e perché rappresenta la voglia di mescolare ritmi e stili in cui lui era maestro. In generale questa serata nasce dalla voglia di mostrare un lato in parte nascosto della musica degli anni ’80 che va oltre gli stereotipi su quel decennio e soprattutto riportare il pubblico a ragionare su un set da dj non in maniera monocorde, ma eclettico e variegato. E’ un mio personale modo di intendere il djing da sempre perché ho sempre amato mischiare generi e cadenze ritmiche, ma mi ha fatto molto piacere trovare altri dj, da altri contesti abbracciare le stesse idee e lavorare su un concetto di groove universale. Da poco abbiamo anche iniziato a collaborare con una web radio, U-FM. Nel senso che ogni quarto giovedì del mese alle 15,00 ci sarà un nostro mixato on air.  A Go Bang si è poi aggiunto anche Radio, una serata parallela che facciamo solo io ed Emiliano Cataldo ogni secondo venerdì del mese a Stadlin, un locale a Roma molto bello legato al negozio Ultrasuoni. Qui suoniamo electro, house e techno creando un ponte virtuale fra Go Bang ed il presente.

 

D: Tornando indietro di qualche anno, ti va di parlarci dell’esperienza di Tunnel? Che tipo di contenuti forniva la fanzine? Chi collaborava con te? All’epoca avevi poco più di vent’anni, quanto tempo riuscivi a dedicarvici?

R: Tunnel nasceva dall’idea di realizzare in Italia una fanzine che desse uno squarcio sul futuro. Il sottotitolo era infatti “Nuovi input per nuovi codici”. C’erano già altre fanzine e riviste di questo tipo, ma erano più nel circuito Cyberpunk come Codici Immaginari o Neural. Io volevo dare uno sguardo più approfondito sulla techno ed in questo stava la grande differenza con le altre. Ciò non significava che non avessimo collaborazioni ad esempio con Roberto Callipari di Codici Immaginari che scrisse un Dizionario Cyberpunk e un bellissimo articolo nel primo numero oppure con i ragazzi di Neural che poi erano Ivan Iusco e Alessandro Ludovico della Minus Habens che intervistammo, sempre nel primo numero assieme a Dive che uscì per la loro etichetta. Altri collaboratori essenziali sono stati Eugenio Vatta con la sua rubrica “Manipolazioni sonore” in cui spiegava il funzionamento di synth e sampler e Francesco Fondi alias Frankie Bit che con la sua rubrica “Viaggio nell’ultramondo”, ci forniva notizie inusuali sul presente e sul futuro. Poi ho avuto il piacere di ospitare Alessandro Marenga, grande chitarrista e sperimentatore elettronico, Luca De Gennaro, storico dj e giornalista, Mario Cutolo, esperto di cinema, e Marco Santarelli, giovane sociologo che fece un interessantissimo reportage sui rave romani. La fanzine era totalmente auto prodotta e facevo tutto io con l’aiuto fondamentale di Stefano Buonamico per l’impaginazione. Occupava una grande parte del mio tempo in quegli anni e per ogni numero ci mettevo quasi tre mesi.

[Nuovamente: qui di seguito è possibile trovare entrambi i numeri di Tunnel!]

FREE DOWNLOAD [FULL RESOLUTION – ITALIAN ONLY]

 

[P.S. A pagina 5 di Tunnel #2 si trova un enigma/rompicapo ad opera di Frankie Bit. Il messaggio ottenuto una volta risolto, vi permetterà di accedere a qualcosa che cambierà la vostra Vita. Per avere la chiave necessaria a descriptare il messaggio, scrivete a [email protected] / Oggetto: Chiave Tunnel #2]

D: In riferimento all’esperienza di Tunnel, ma non solo: quante interviste hai fatto approssimativamente fino ad oggi? Ne fai ancora? Ce n’è qualcuna in particolare che ti sta a cuore più delle altre? Ritieni che il classico formato domanda + risposta possa fornire ancora delle informazioni interessanti riguardanti l’intervistato?

R: Da quando ho iniziato con Tunnel fino ad oggi ho realizzato una cinquantina di interviste. Ho avuto il piacere di intervistare tanti dei miei idoli da Mike Banks a Model 500, da Cybotron a Egyptian Lover nonché praticamente tutti i dj e produttori romani con cui sono cresciuto. Ovviamente ce ne sarebbero molti altri da intervistare, ma io non sono un giornalista. Sono un semplice amante della musica che ama diffonderla per cui se ce ne sarà occasione sarò pronto a tirare fuori qualche domanda senza problemi, ma non è la mia priorità che ora è solo mettere dischi. A me piace sentire la musica che amo e mixare. E’ stato sempre il mio vero grande amore e non necessariamente per farlo in pubblico. A casa ho una bella postazione con tutti i miei dischi e appena ho tempo mixo. Credo che comunque l’intervista, soprattutto se fatta dal vivo, sia uno dei momenti migliori per conoscere un artista e la sua musica. Per un periodo ho collaborato con la rivista musicale Superfly dei miei amici David Nerattini e Silvia Volpato. Loro avevano questa fantastica rubrica “Ad occhi chiusi” a cui ho collaborato anche io in cui suonavamo dei dischi a degli artisti e loro dovevano indovinare la song o l’artista. Non era un quiz, ma solo un modo come un altro per parlare di musica in modo originale. Una delle migliori che ho fatto è stata con Derrick May. Lui non voleva farla in hotel e allora l’ho portato al Circo Massimo di notte in uno scenario splendido e, come al solito, Derrick ha dato il meglio di sé da grande intrattenitore che è.

[Da sinistra in alto: Mike Banks, Davide Lombardi, Andrea Benedetti, Marco Micheli. Da sinistra in basso: D-Ha, Eddie Fowkles e Eugenio Vatta, via]

D: Pensi che al concetto di Rivolta (nel senso più ampio possibile) possa esser rimasto associato un qualsiasi significato reale oggi? L’aveva allora? In relazione a ciò, che tipo di effetto ebbero su di te alcune delle uscite più violente della techno di tutti i tempi uscite nei tuoi vent’anni, come ad esempio Riot EP? Oppure, tra i dischi degli UR, riservi un posto nel tuo cuore ad altro?

R: La rivolta per me ha sempre significato uscire dagli schemi, ma non in maniera esteriore. Io non sono mai stato e non sarò mai un tipo egocentrico o accentratore. Sono sempre stato una persona curiosa e ho sempre adorato cercare cose che non fossero mainstream. Non per una ricerca fine a sé stessa, ma per vedere le cose da diverse angolazioni. Non accontentarsi mai dello status quo. Credo che quella sia la vera rivolta. La techno ha sempre rappresentato per me questo soprattutto e persone come Lory D, Leo Anibaldi, Mike Banks e i primi UR hanno avuto questo impatto su di me sin dagli inizi. Certo, in 12” come Riot EP c’è un forte aspetto iconografico, ma a me interessava meno della musica.

D: Hai mai incontrato, parlato con, o visto suonare Juan Atkins? Lo inviteresti a fare un giro in auto per le strade di Roma? Il futuro è ancora qui [“The Future is here”]?

R: Ho avuto il piacere di intervistare Juan Atkins quando venne a suonare come Model 500 qualche fa a Roma al festival Dissonanze. E’ una persona carismatica e profonda, avvolta dalle sue idee e dai sui concetti. Facemmo una bellissima intervista e quando gliela mandai fu molto soddisfatto del risultato finale. Mi avrebbe fatto molto piacere fare una “Nightdrive” con lui, ma avevano una serata il giorno successivo e non fu possibile, ma quello avviene tutto le volte che sento quel disco per cui va bene così. La musica è uno stato mentale e non sempre le azioni possono riprodurre le sensazioni che hai quando senti una determinata musica. E’ un sogno che vivi da sveglio ogni volta che metti su quei suoni. E’ una bellissima sensazione che ci fa vivere il presente in uno stato sospeso. Molto vicino all’idea di futuro che piace a me.


PORTRAIT#3 TRACKLIST


Ecco, infine, la tracklist del mix, commentata dallo stesso Andrea traccia per traccia, con riferimento alla release da cui è tratta.

 1. Sprawl – 2nd Strategy [Voices + beats – Plasmek 008]

Mio personale omaggio a Darth Vader, ma anche metafora della realtà e delle sue innumerevoli diramazioni a seconda del punto di vista. Una umile e giocosa analisi del conflitto fra bene e male.

2.    Sprawl – Electrome [Little box EP – Plasmek 003]

Questo brano è registrato in diretta senza computer e/o sequencer per dare una sensazione più live al brano. Non potendo gestire tutto in diretta, chiesi a Marco Passarani se mi poteva aiutare suonando il campionatore con il sample vocale che da’ il titolo al brano. Omaggio al beat immortale di Egyptian Lover nel break di “Girls”.

3.    Sprawl – Attack Formation [Voices + Beats – Plasmek 008]

Montaggio di sample del Rogue squadron di Star Wars. Simulazione di attacco electro-sonico.

4.    Sprawl – Untitled B2 [Unknown Patterns vol.1 – Plasmek 9]

Altro brano registrato live senza computer e/o sequencer.

5.    Direct from the machine – ULT II [ULT I-IV – Aural Satisfaction 006]

Brano registrato con Corrado Izzo a Francoforte. Anche questo live.

6.    Sprawl – Irruption [Techno Nation 4 – Kickin LP 4]

La storia di questo pezzo è molto particolare. Si trovava su un DAT su cui avevo registrato dei brani in studio. Non mi convinceva perché lo ritenevo troppo rozzo e sicuramente lo è. Poi mandammo il DAT, su cui c’erano altri brani per Plasmek alla società che doveva fare master e promo e per errore lo inserì sul promo. Per ammortizzare il costo dell’errore vendemmo il promo e poi facemmo il promo corretto. Il caso volle che andò in mano ad un produttore della Kickin’, storica etichetta techno inglese, che lo volle per la loro compilation Techno Nation 4.

7.    Sprawl – Corsa nel Vuoto [Little Box EP – Plasmek 003]

Una reinterpretazione dell’acid in chiave ipnotica con il PCM 42 che dava lezione di effettistica in diretta. Anche questo registrato live.

8.    Sprawl – Rapid Eye Movement [Little Box EP – Plasmek 003]

Altro pezzo live con la 808 al posto della mia amata 909. Una rappresentazione ritmica di un sogno da cui il titolo del brano.

9.    We were in the future – Industrial Overflow [Sounds Never Seen 002]

Inserito sul secondo SNS da Lory è il primo brano fatto da me ed Eugenio Vatta con un bellissimo scambio fra noi: la sua maestria sui sample ed il missaggio ed il mio arrangiamento ritmico e di basso con una predilezione per le onde sinusoidali.

10.    The Experience – Madcap [Mystic 102]

Altro brano fatto con Eugenio in cui omaggiamo Syd Barret con un titolo preso dal suo album Madcap Laughs. Chiusura etnico elettronica presa dai Pink Floyd.

11.    New Acid Generation – Neural Acid [Sysmo 102]

Altro brano registrato live con una 606, una 303, un Juno 106 ed un Obehereim. Uno dei pezzi a cui sono più legato.

12.    Skull – Buried Alive [Sysmo 104]

Piccolo estratto di un brano dark ambient che era anche molto amato da Grant Wilson Claridge e Richard D. James  che lo vollero sul disco antologico Sounds Never Seen di Lory su Rephlex, anche perché era parte di un disco (Skull) che doveva uscire su SNS e poi uscì su Sysmo.

13.    Sprawl – Untitled B1 [Unknown Patterns vol.1 – Plasmek 9]

Altro pezzo dark electro registrato live che è anche una visione molto dickiana del presente. In quel momento il futuro non lo sentivo nostro. E non solo musicalmente.

14.    Sprawl – Subsonic  attack [Plasmek 001]

Brano realizzato a sei mani ad Albano nello studio dei T.E.W. ovvero Simone Renghi e Giampiero “Boccia Bean” Fagiolo in una bellissima session caratterizzata dalle fantastiche patate al forno della madre di Simone (R.I.P.). Un gran bel ricordo.

15.    Frame – Abstract 3132 [The darks side of the sword 3 – Plasmek 7]

L’ultimo pezzo realizzato finora con Eugenio, e rappresenta la summa della nostra  visione sperimentale di generi matrice come techno ed electro.

16.    Sprawl – Alien Language [Plasmek 001]

Un pezzo che voleva omaggiare la techno europea di etichette come Djax-up-beats  o B12 in versione dark. Una sorta di Clementine o Terrace da incubo.

 


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