‘Isolation Culture’ degli His Clancyness raccontato attraverso 10 dischi, film e libri

 

His Clancyness sono Giulia Mazza, Nico Pasquini, Jacopo Borazzo e Jonathan Clancy: quest’ultimo, chitarrista e cantante canadese ma italiano di adozione, aveva inizialmente dato il via a His Clancyness come progetto solista, per poi estenderlo a quartetto composto da synth, basso, batteria e chitarra. Una vera e propria collaborative tour-hardened minimal noise-pop machine, forgiata nel fuoco di numerose avventure e tour estenuanti. La band ha fatto di Bologna il proprio quartier generale, vivendo nei dintorni (chissà, forse direttamente all’interno) dello Strange City Studio, dal quale, dopo due anni di curiose investigazioni sonore, fatiche notturne ed esperimenti con un quattro piste, è emerso un manipolo di anti-hit, intrecci lirici  e composizioni segnate dal sibilo analogico tipico di nastri e attrezzatura lo-fi. Trattasi di Isolation Culture, full-length rilasciato lo scorso anno su Maple Death Records, etichetta fondata e curata dallo stesso Jonathan Clancy ed a cui collaborano sia Nico Pasquini (master e partecipazioni varie, oltre che a vere e proprie pubblicazioni in solo con il moniker Stromboli) che Giulia Mazza (nel ruolo chiave di fotografa e grafica), stretti in un rapporto intenso / familiare che sta determinando il corso di una delle più interessanti realtà italiane degli ultimi anni. Vedere per credere.

His Clancyness: Website / Discogs

Maple Death Records: FB / Twitter / Website / Bandcamp

Isolation Culture, registrato a Leeds e a Bristol (rispettivamente al Suburban Home Studio di Matthew Johnson, frontman degli Hookworms, e all’Invada Studio di Stu Matthews dei Portishead), è stato pubblicato in collaborazione con Tannen Records e Hand Drawn Dracula dopo numerosi tour che hanno portato il gruppo a toccare oltre 150 città sia in Europa che negli USA. Le peregrinazioni dei quattro hanno fatto di Isolation Culture un disco che riflette direttamente le fatiche vissute come esperienza mini-comunitaria, ma che allo stesso tempo tenta di esprimere in musica il paradosso della realtà contemporanea per il quale, al netto della connessione istantanea tra le parti, ciò che domina in definitiva è l’isolamento e alienazione insormontabile vissuti dagli individui che la compongono (“No one could have predicted that connecting the world to itself would make it more insular; it’s easier than ever to know what’s happening at all times everywhere but even harder to know what people are actually thinking“).

Alone, together.

Abbiamo chiesto agli His Clancyness di raccontarci quali fossero, oltre alla riflessione sulla cosiddetta isolation culture (“Is it so bad to want to be alone in the world? What does participation in a society mean anymore?“), le principali fonti di ispirazione confluite nel loro secondo LP. Siamo lieti di presentarvi l’elenco di 10 elementi, divisi tra dischi, film e libri e tra i quattro membri, che meglio caratterizzano questo disco e questa band / macchina-da-tour-macina-chilometri. Le occasioni più immediate per vederli nella vostra città sono questa sera a Pesaro, Venerdì a Benevento per il Soundproof Festival e Sabato al Musical Zoo Festival a Brescia – al quale, tra l’altro, parteciperemo anche noi, see you there!. Per ascoltare Isolation Culture è sufficiente pigiare play dall’embed bandcamp in testa all’articolo: buon’ascolto e buona lettura!


Giulia

  • “Heavenly Creatures” di Peter Jackson: si tratta di uno dei film che ha ispirato l’atmosfera delle foto realizzate per l’album. Il film neozelandese parla di due ragazze adolescenti che pur essendo molto diverse hanno condiviso un’infanzia simile prediligendo l’isolamento e il sogno. La creazione del loro “Quarto Mondo” ossia un luogo di fantasia dove rifugiarsi mi ha fatto parecchio pensare ad un possibile significato di “Isolation Culture”, quello di proteggersi e nascondersi in una dimensione onirica dove è possibile tornare a respirare e lasciare che la mente faccia il resto. Da qui viene sicuramente l’idea di creare un’immagine in movimento che anche dal punto di vista dell’inquadratura sia difficile da collocare.

  • “An Angel At My Table” di Jane Campion: altro film neozelandese, che parla della vicenda della scrittrice Janet Frame e di come il suo crollo emotivo l’abbia portata a subire 200 elettroshock per un’ errata diagnosi di schizofrenia. Un personaggio davvero denso e affascinante, così poco compreso e spesso isolato ed escluso da coetanei e sentimenti. Una storia che mi ha toccato profondamente e che tornando al discorso fotografico, mi ha dato parecchi spunti soprattutto cromatici e sensoriali.

Jonathan

  • The Red Crayola – The Parable Of Arable Land: Il primo demo della title-track ‘Isolation Culture’ aveva come riferimento la classica ‘Hurricane Fighter Plane’ dei Red Krayola, ma anche ‘Transparent Radiation’ nella versione solista di Mayo Thompson. Anche se apparentemente non c’entra molto, stavamo cercando soprattutto nella prima versione di emulare quel feeling tra batteria e basso pulsante, dum tup-a dum tup-a, un po’ gommoso su cui poi si poggiava una canzone in realtà meno terrena, ariosa e inquieta. Sicuramente i Red Crayola sono una delle nostre band preferite, personalmente li ho scoperti da ragazzino quando vennero reintrodotti dal mondo post-rock di Jim O’Rourke e David Grubbs con il disco Hazel, ormai erano già Krayola con la K. C’era questa traccia che apriva il disco ‘I’m so blasè’ che mi mandava fuori, anche semplicemente per quella frase così efficace. Sicuramente anche il fatto di creare un filo unico tra i pezzi come in ‘Parable’ è sempre stata una caratteristica dei dischi di His Clancyness, cercare di non spezzare mai la tensione.

  • David Bowie – Lodger: Nel lungo viaggio per arrivare a Bristol agli Invada Studios per registrare la prima parte del disco avevamo un furgone con uno stereo a cd e una scelta abbastanza limitata. All’ultimo mi ero portato Lodger da ascoltare e ricordo che sulla rullata di timpani/tom di ‘Move On’ e poi su ‘Red Sails’ abbiamo pensato che potesse essere un riferimento incredibile per le batterie che avevamo in testa e non solo. Se non sbaglio Bowie si era ispirato proprio ai Neu! per quella batteria, quindi perfetto!

  • Swell Maps – …In Jane From Occupied Europe: Un classico fondamentale per noi, magari meno per quanto riguarda l’influenza sonica, ma più per come sono miscelate le canzoni, per l’uso di field recordings, suoni industrial e anche una certa caoticità che per me è una ispirazione diretta nel fare la sequenza di un album. Odio quegli album rock dove capisci subito tutto, è tutto subito a fuoco… gli Swell Maps erano completamente l’opposto, dell’era post-punk non mi viene in mente nessuno come loro, forse solo qualcosa dei Television Personalities… non so gli Swell Maps avevano proprio queste influenze strambe ed erano sempre in bilico tra deragliare completamente, tuffarsi in ambito noise, industrial, musica concreta, field recordings o arrendersi ad una canzone pop veloce. In questo disco c’è questo passaggio tra la canzone ‘Blenheim Shots’ e ‘A Raincoat’s Room’ che è l’emblema della bellezza, dalla furia della prima traccia scritta da Nikki Sudden si passa a dei field recordings ed a questo pianoforte magniloquente, una canzone scritta da Epic Soundtracks. Ecco in tutti gli album proviamo sempre a mettere dei passaggi simili senza riuscirci minimamente, è ovvio. In Isolation Culture è il passaggio tra ‘Nausea’ e ‘Cuuulture’. Nel disco precendente ‘Vicious’ basta andare a sentire la fine di ‘Zenith Diamond’. E così via…

  • John Lennon/Plastic Ono Band: Penso sia un classico per tutta la band, un disco a cui torniamo spesso per i suoni… prendi l’album e puoi subito dire, così vorrei che suonasse la batteria, così vorrei che suonasse il basso e così vorrei l’eco sulla voce. Fosse minimamente facile. Ci eravamo anche lanciati in una cover di ‘Hold On’ ma senza grandi risultati, insomma quando penso a canzoni nostre come ‘Calm Reaction’, ‘Watch Me Fall’, con tutti i dovuti paragoni, nella mia testa è lì che andiamo a parare, probabilmente sbagliando completamente la mira. Menzione particolare per i fill di Ringo ed i bassi di Klaus Voormann. INCREDIBILI.

Nico

  • Mayo Thompson – Corky’s Debt To His Father: Disco fondamentale, partorito dal leader dei leggendari Red Crayola, uno dei nostri gruppi preferiti in assoluto. Questo disco solista del 1970, uscito per una piccola etichetta chiamata Texas Revolution e ristampato più volte, nel 1985 e nel 2008 dalla label ‘Drag City’, è stato particolarmente influente nella composizione di ‘Isolation Culture’. E’ un disco in cui il pop è contaminato da varie forme di sperimentazioni e da strutture a volte contorte e mai scontate. Se si pensa all’odierno Ariel Pink possiamo trovare molte similitudini, in particolare l’imprevedibilità melodica della voce e dei cambi armonici. Adoro poi tutte le linea di basso presenti nel disco. Il basso di ‘Pale Fear’ è palesemente ispirato al pezzo ‘Horses’, contenuto in ‘Corky’s Dept To His Father’ . Non mi stanco mai di ascoltarlo.

  • Brian Eno – Another Green World: Non posso fare a meno di questo disco. Dentro c’è tutto quello che m’interessa della musica. Contiene brani strumentali che accennano a quello che sarà ‘l’inizio dell’ambient music, molto vicino all’estetica Kraut ma con forte inclinazione pop. Qui le intuizioni melodiche sono indicate dalla sperimentazione del suono che creano atmosfere e scenari sonori. Nella lavorazione di ‘Isolation Culture’ è stato sicuramente importante seguire questo esempio per dare maggiore risalto alle atmosfere e alle parti strumentali come in ‘Dreams Building Dreams’, ‘Uranium’ o ‘Isolate Me’. Una altro aspetto riguarda l’utilizzo di frammenti e loops per la costruzione dell’impalcatura di un brano, come succede in in ‘Pale Fear’. Qui il loop di batteria ha un carattere preciso e diventa centrale nel trasporto del pezzo. E’ impressionante di come sia ancora attuale il concetto di ‘Oblique Strategies’, elaborato da Eno nello stesso anno, con i suoi aforismi volti a rompere gli schemi mentali.

Jacopo

  • Post Capitalism, A Guide to Our Future di Paul Mason e I deboli sono destinati a soffrire? di Yannis Varoufakis: Due libri che affrontano alcuni dei temi cardine della crisi del capitalismo che stiamo vivendo in questi anni, che sta producendo squilibri sempre più grandi e inquietanti. Sono cose su cui rifletto spesso e su cui leggo molto, che purtroppo non sono argomento di riflessione ad ampio respiro ma con cui prima o poi dovremo fare i conti. Il sistema capitalistico a cui siamo abituati non regge più e bisognerà trovare qualcosa che possa sostituirlo, di cui purtroppo ancora non vedo traccia, nemmeno in questi due libri che pure ho apprezzato ma che ho scelto più come simbolo della tematica che altro. Nelle pieghe delle riflessioni critiche al capitalismo contemporaneo io ci vedo anche quell’esaltazione della dimensione individuale e individualistica (a scapito della dimensione comunitaria e sociale) che può essere considerata come una delle tematiche centrali di Isolation Culture, anche se magari tematizzata in maniera meno esplicitamente politica e più personale.

 


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